Insomma, “Zoolander 2” sta subito sul pezzo e a questo giro si concentra sule ossessioni di questi ultimissimi anni: da Justin Bieber, che deve assolutamente farsi un selfie prima di tirare le cuoia e la morte può attendere, mentre sceglie il filtro più giusto per postare la sua faccia su Instagram; a Derek stesso, che si ficca in un incidente stradale con il figlio per farsi una foto col bastoncino dei selfie; da Don Atari che parla contraddicendosi da solo a un mondo della moda sempre più esasperato nel tentativo di stupire un pubblico ormai assuefatto a qualsiasi bizzarria.

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Chi ha letto la mia recensione precedente, sa che “Welcome to Night Vale” è una serie in podcast che va avanti dal 2012 con cadenza bisettimanale e racconta – sotto forma di bizzarra trasmissione radio – le vicende di quella che potrebbe essere una qualunque cittadina americana, non foss’altro che a Night Vale accadono le cose più bizzarre e, quel che è ancora più interessante, tutti i suoi abitanti sembrano considerarle perfettamente normali (sì, anche la presenza di minacciose Nuvole Risplendenti, una Polizia Segreta dai metodi piuttosto sbrigativi, inquietanti Vecchie Senza Volto che ti riorganizzano l’armadio mentre tu volti loro le spalle e via discorrendo).

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Ultimamente vedo solo film che mi deludono (non è vero, l’altro giorno ho visto “Furyo” e mi è piaciuto da morire ma ve ne parlerò in un’altra recensione). In questo caso andavo al cinema in un misto di aspettativa per la presenza di un certo personaggio e la consapevolezza che sarei rimasta delusa di nuovo, visto l’andazzo che aveva ormai preso la terza stagione di “Sherlock” (e nonostante quel brillante terzo episodio che si faceva quasi perdonare quello che precedeva).

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Perché questo cappello? Perché se “Star Wars VII: Il risveglio della Forza” fosse stato un film totalmente nuovo, una saga di fantascienza lanciata nel 2015 dal titolo di “Residents Quarrels: Il risveglio dell’Amministratore” mi sarei limitata a dire che era un film bruttino, senza infamia e senza lode. Avrei detto che non brillava per originalità, che aveva qualche spunto interessante, e che avremmo aspettato il seguito per vedere se con un’altra tranche da 200 milioni di dollari la Disney riusciva a ingaggiare uno sceneggiatore decente, un regista coraggioso e una gabbia in cui rinchiudere i produttori, troppo loquaci quando si tratta di piazzare pubblicità occulta per il marketing di pupazzi pre- e post-visione del film evento.

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“Spectre” è una rivisitazione fighetta e pretenziosa dei primissimi capitoli del franchise di James Bond. Se mi avessero detto che era il remake di “Dottor No” o simili, avrei risposto: «Davvero carino, un esperimento convincente, mi sono molto divertita. La scena sul treno era ironica, vero?!». Invece sono stata catapultata in un brutto film con Roger Moore che pretendeva di concludere la saga che ha ospitato un capolavoro (almeno per il genere spionistico e per il modo in cui ha ribaltato certe premesse dei vecchi James Bond) ricadendo in una mediocrità così pesante che mi è sceso il latte alle ginocchia.

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Quando vai al cinema a vedere un film di un regista che sai essere bravo o comunque capace di dare un valore aggiunto alle sue storie, hai sempre delle aspettative. Se cadono nel vuoto, l’amarezza raddoppia, perché un film con delle potenzialità come lo era “Crimson Peak” è sempre un’occasione mancata e ti lascia con una serie di domande dentro che non avranno risposta. Si aggiunga che il film presentava un cast di rispetto, a cominciare da Tom Hiddleston, che è stato probabilmente la calamita per molti spettatori incuriositi dalla storia, e non era esattamente girato da un regista di primo pelo, e si capisce perché aveva tutte le carte in regola per stupire.

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Allora, da dove cominciare? Devo dire che la cosa più inaspettata del film, più che lo stagista settantenne, è stato il tema principale. A giudicare dal titolo italiano (in inglese c’è un più sobrio “The Intern”) e dai trailer mi aspettavo un film che in modo ironico trattasse del dramma dei pensionati con pochi soldi in tasca, che arrotondano con lavoretti vari ed eventuali, perché il mercato del lavoro oggi è questo.

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Penso che fosse da parecchio che non vedevo un prodotto rivolto ai bambini destare sentimenti tanto violenti e contrastanti nel pubblico di adulti che infestano tutti i mezzi di comunicazione a più livelli. Più o meno dai tempi in cui si diceva che “Sailor Moon” avrebbe fatto diventare tutte le bambine delle travestite e “Dragon Ball” avrebbe trasformato i bambini in assassini seriali.

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