Ultimamente, però, mi è capitato sempre più spesso di lasciare il cinema in uno stato di profondo disappunto. Se dovessi dire qual è il film che in questo 2016 mi ha fatto ridere più genuinamente – senza forzarmi alla risata, senza giocare sporco su argomenti di per sé ridicoli come produzioni di gas corporee varie ed eventuali – direi «Zootropolis». Se dovessi dire quale film mi ha commosso ed è andato più a fondo nel mio immaginario, direi «Alla ricerca di Dory». Se dovessi accennare a quale film avesse un uso più spregiudicato e originale della sceneggiatura, direi «Deadpool».
Li avete visti i trailer su YouTube, no? Io ho capito che avrei visto Suicide Squad quando la Warner ha diffuso a tradimento un trailer con Bohemian Rhapsody in sottofondo. E come fai a non andare a vedere un film che ha una canzone del genere nella colonna sonora?!
Poi ho scoperto che c’era Viola Davis a fare la donna “tosta-e-bastarda” di turno, che c’era Margot Robbie che faceva Harley Quinn, che c’era Will Smith a fare Deadshot, Jared Leto che interpretava il Joker più pappone di sempre (e che agonia tutti i Ledger!fag che hanno rivoltato il web in questi mesi) e, insomma, ero già lì a urlare al capolavoro.
Credo che il primo scopo di un film sia quello di intrattenere – per lo meno di questo tipo di film. Ecco, X-Men – Apocalisse ha centrato in pieno l’obiettivo: è un film dalla trama lineare, classica, con un antagonista molto potente e assetato di ulteriore potere, un parterre di protagonisti già sviluppati nei due capitoli precedenti e portati alle estreme conseguenze, nuove reclute che scalpitano per presentarsi e impossessarsi del proscenio nei capitoli successivi.
Civil War è un film isterico è saltellante, prima di tutto nella gestione della trama. Oscilla fra l’action movie e il thriller psicologico senza riuscire a pescare il meglio da nessuno dei due generi. Non ha l’asciutta compattezza dell’action movie, non riesce a tenere sempre la tensione alzata al massimo, proprio nel tentativo di dare spazio alla riflessione, risicata in pochi dialoghi, messi al momento sbagliati e condotti in maniera poco intelligente. Le scene d’azione, pur coreografiche e in alcuni casi di fortissimo impatto – a differenza di Age of Ultron, che si era dimostrato carente anche da questo punto di vista – sono spesso svolte a velocità aumentata, quasi a volerne comprimere lo spazio per infilarne più di una in un tempo ristretto, quanto può esserlo le appena due ore e mezza in cui si è cercato di parlare di tutto e il contrario di tutto.
Limitless è quel film brutto con delle premesse interessanti che finisci comunque per guardare, perché è thriller fantascientifico e perché c’è Robert De Niro che fa il tycoon della Finanza e pensi che – magari – è brutto perché il finale non è granché ma nel mezzo troverai tante cose interessanti. Che è brutto perché magari è uno di quei film un po’ effimeri, che lasciano il tempo che trovano e sanno di insoddisfazione.
Con Il Libro della Giungla, però, devo dire di essermi perfettamente ricreduta, non solo per il modo in cu la trama ha saputo intrecciare le ispirazioni del cartone animato del 1967 alla lettera dei racconti di Rudyard Kipling, ma anche per la bravura degli interpreti coinvolti. O meglio, dell’interprete e dei doppiatori.
Al di là di tutto ciò che di bene e di male si può dire di Batman V Superman una cosa è già chiara in partenza: le botte vere, gli scontri epocali fra due istanze insanabili, che spesso hanno più torto che ragione e si muovono su presupposti fallaci in partenza, non li vedi nel film.
No.
Li vedi sul web, nel fandom, fra i fan inferociti come se gli avessero rapito la mamma e picchiato l’animale da compagnia, come se Zack Snyder in persona fosse andato a casa loro e avesse cominciato a rompergli tutte le cassettine dei Pokémon.
L’ondata di isteria collettiva che ha diviso e sta dividendo critica e pubblico fra i frettolosi «non l’ho visto ma già so che è una merda» e i pretestuosi «capolavoro finale» ha un demerito fra tutti: quello di aver impedito qualsiasi critica costruttiva sul genere supereroistico al cinema, affrettandosi a sollevare muri in un senso o nell’altro, come da un po’ accade per l’uscita di queste grosse produzioni.
Mario Adinolfi ha detto che “Kung-Fu Panda 3” non va visto, perché propugna le tesi dell’ideologia gender. Al di là del fatto che l’idelogia gender non esiste e chi usa questa locuzione non sa neanche l’inglese, il nostro Marione nazionale ha ben pensato di uniformarsi a un costume molto diffuso in un certo ambito ignorante – del web ma anche dell’era pre-web, abbassate i vostri martelli luddisti – cioè giudicare un film senza nemmeno averlo visto.
“Zootropolis” aveva invece tutte le carte in regola per potermi stupire positivamente. Animali antropomorfi, una realtà alternativa, una trama da noir che faceva intravedere quel famoso “doppio livello d’interpretazione” che rende certi film apparentemente per tutti ma sotto sotto per adulti, perché solo se hai una certa età capisci gli ammiccamenti e soprattutto alcuni dei messaggi più sottili della storia.
Sì. Lasciando da parte il fumetto, che non tutti conoscono, anche nel film Deadpool mantiene intatte le sue caratteristiche di insopportabile bastardo logorroico senza codice d’onore (o con un codice d’onore tutto suo, che differisce molto dalle regole del vivere comune, ognuno la veda come vuole, anche l’immoralità ha una sua etica di fondo, alla fine) e soprattutto è un mercenario che combatte per se stesso e non risparmia i suoi nemici.