Quel progetto era in lavorazione dal 1968 e nel frattempo aveva cambiato trama, animatori, titolo, mentre rimaneva costante l’incrollabile perfezionismo di Richard Williams, che voleva realizzare un prodotto dall’animazione fluida e curatissima, dove nulla fosse lasciato al caso, nulla fosse arrangiato alla bell’e meglio, foss’anche solo per rispettare i tempi di consegna e non sforare dal budget imposto.
Retreat (Miyazaki). Rebuild (Anno). Reset (CLAMP).
Se si volesse trovare un modo per riassumere l’imponente – circa trecentoventi pagine, al netto di note e bibliografia – saggio di Thomas Lamarre sulla “macchina animetica”, questa frase sarebbe quella giusta. Con questi tre concetti Lamarre chiude le conclusioni del suo libro e del suo viaggio nell’animazione o, meglio ancora, nella macchina che sta alla base dell’animazione. La macchina multiplanare animetica (multiplanar animetic machine, nel testo originale) è una macchina costituita dal tavolo da animazione (animation stand, in inglese) dalla camera multipiano e dagli esseri umani, che disegnano sfondi, animazioni-chiave e intercalazioni.
E qui il viaggio è sia traversata fisica che percorso di crescita spirituale. Re Leonzio e suo figlio Tonio, il consigliere Salnitro, il coraggioso orso Babbone, il saggio Teofilo e tutti gli orsi del loro branco conquisteranno qualcosa ma perderanno qualcos’altro durante la loro convivenza con gli umani. L’innocenza, prima di tutto, la spensieratezza e l’immediatezza della vita in mezzo alla natura, barattate con la conoscenza ma anche con troppi vizi, che corrompono i più deboli di loro, quelli più facili a lasciarsi affascinare dai begli abiti e dalle armi astruse.
Anche le nuvole si inchinano di fronte alle ragioni del cuore Makoto Shinkai è ossessionato dalle distanze. Che siano distanze fisiche e poi emotive, che siano distanze temporali, sociali, fra…
Quando Netflix ha deciso di portare sulla sua piattaforma la creatura di Anno, per aggirare ogni problema di diritti ha deciso di ri-adattare e ri-doppiare completamente la serie, non soltanto negli Stati Uniti ma anche in Italia. Al danno, anche la beffa, perché la sigla di chiusura, Fly Me To The Moon, è stata eliminata per non incorrere in altri problemi di diritti, che la piattaforma evidentemente non voleva pagare. La polemica che è scoppiata negli USA e in Italia all’indomani del rilascio della serie sulla piattaforma, il 21 giugno scorso, si incentra esattamente sullo stesso problema: una pessima traduzione che, lungi dall’essere più fedele, rende i dialoghi in più punti forzati. Nel caso italiano sono addirittura incomprensibili, come sottolineato dagli screen postati dalla pagina Facebook Gli sconcertanti adattamenti italiani dello Studio Ghibli.
Ci sono due modi per spiegare cos’è Space Dandy a qualcuno che non l’ha mai visto: le avventure di uno sfigatissimo cacciatore di alieni rari con una passione insana per i bei fondoschiena femminili (un vero e proprio “sommelier della natica”); in alternativa, un viaggio psichedelico attraverso i tipi più ricorrenti della fantascienza e dell’animazione mainstream giapponese.
Per parlare di quanto sia bella e particolare la narrazione de Il Sistema Periodico, bisognerebbe partire proprio dalla fine, da Carbonio, ultimo dei racconti e in qualche maniera manifesto dello spirito che informa questa raccolta e che si incarna in modo commovente nella descrizione del viaggio centenario di un atomo di carbonio e della sua inconsapevole collaborazione alla creazione di queste storie.
Perché anche la chimica è un’arte che, insieme alla scrittura, ha contribuito a salvare Primo Levi da un inferno di ricordi che avrebbero potuto perseguitarlo per il resto della sua vita.
Perché il romanzo di Ito Ogawa è davvero la storia della Locanda Arcobaleno – una locanda dove gli amori diversi non sono solo quelli delle coppie LGBT*QIA. Gli stessi legami affettivi fra parenti, amici, vicini e persino fra avventori e proprietarie della locanda sono vissuti con una diversità che si oppone alla rassegnata uniformità a cui i rapporti codificati, della società giapponese e non solo, ci hanno abituato.
Ci sono film che restano con te per tutta la vita.
Ci sono film che restano con te persino se non li hai mai visti, entrando nella cultura popolare con battute iconiche, scene emblematiche, modi di dire e di fare che finisci per assorbire pure tu – ignaro spettatore bastian contrario, che all’epoca dei fatti ti sei fieramente rifiutato di lasciarti trascinare a fondo (è proprio il caso di dirlo) nel vortice di isteria di massa che ha circondato suddetti film.
Ed è questo il mio caso con Titanic.
Prendete la teoria dell’eterno ritorno, mescolatela con quella degli infiniti universi paralleli, aggiungeteci una generosa spolverata di folklore e vita quotidiana e quello che otterrete è The Tatami Galaxy o, per citare il suo sottotitolo: ‘leggende e miti delle stanze da quattro tatami e mezzo’.