Abbiamo visto questo film in quattro e, nell’ordine, a una mia amica ha cominciato a sanguinare il naso all’improvviso, l’altra si è assentata per mangiare la pizza, è tornata e ha continuato a guardare lo special senza praticamente perdere il filo, mia sorella ha cominciato ad aggiornare freneticamente qualsiasi social pur di non fissare troppo a lungo lo schermo, io mi contorcevo in preda al dolore sulla sedia reclinabile del soggiorno.

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Quello che ci si troverà davanti è un mix fra Alice nel Paese delle Meraviglie, il folklore giapponese e quei film Disney con animali umanoidi come protagonisti (tipo Robin Hood), ma senza buonismo disneyano e con un realismo che ben s’intreccia all’atmosfera pulita e lineare che hanno molti dei film dello Studio Ghibli, quel genere che ti rimette in pace con il mondo per l’ora e mezza di visione.

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È davvero difficile discorrere sul nulla. Peggio ancora, è persino più difficile recensire il nulla, perché è questo quello che mi appresto a tentare oggi, un’impresa sfiancante conseguenza della mia pessima idea di approfittare del palinsesto Mediaset per vedere il famigerato “Cinquanta sfumature di grigio”, che al cinema avevo evitato come la peste perché curiosa del trash, sì; in vena di regalare i miei soldi al franchise, no.

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Ultimamente vedo solo film che mi deludono (non è vero, l’altro giorno ho visto “Furyo” e mi è piaciuto da morire ma ve ne parlerò in un’altra recensione). In questo caso andavo al cinema in un misto di aspettativa per la presenza di un certo personaggio e la consapevolezza che sarei rimasta delusa di nuovo, visto l’andazzo che aveva ormai preso la terza stagione di “Sherlock” (e nonostante quel brillante terzo episodio che si faceva quasi perdonare quello che precedeva).

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Perché questo cappello? Perché se “Star Wars VII: Il risveglio della Forza” fosse stato un film totalmente nuovo, una saga di fantascienza lanciata nel 2015 dal titolo di “Residents Quarrels: Il risveglio dell’Amministratore” mi sarei limitata a dire che era un film bruttino, senza infamia e senza lode. Avrei detto che non brillava per originalità, che aveva qualche spunto interessante, e che avremmo aspettato il seguito per vedere se con un’altra tranche da 200 milioni di dollari la Disney riusciva a ingaggiare uno sceneggiatore decente, un regista coraggioso e una gabbia in cui rinchiudere i produttori, troppo loquaci quando si tratta di piazzare pubblicità occulta per il marketing di pupazzi pre- e post-visione del film evento.

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“Spectre” è una rivisitazione fighetta e pretenziosa dei primissimi capitoli del franchise di James Bond. Se mi avessero detto che era il remake di “Dottor No” o simili, avrei risposto: «Davvero carino, un esperimento convincente, mi sono molto divertita. La scena sul treno era ironica, vero?!». Invece sono stata catapultata in un brutto film con Roger Moore che pretendeva di concludere la saga che ha ospitato un capolavoro (almeno per il genere spionistico e per il modo in cui ha ribaltato certe premesse dei vecchi James Bond) ricadendo in una mediocrità così pesante che mi è sceso il latte alle ginocchia.

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