La calda notte dell’ispettore Tibbs (1967)

In memoria di Sidney Poitier

Lo scorso 7 gennaio 2022 si è spento, all’età di 94 anni, un grande attore e un grande uomo: Sidney Poitier. Primo afroamericano a ricevere un premio Oscar – nel 1963 per I gigli del campo – al grande pubblico è probabilmente noto soprattutto per Indovina Chi Viene a Cena e La calda notte dell’Ispettore Tibbs – due film sicuramente emblematici di quale fosse il complesso e conflittuale rapporto fra i bianchi statunitensi e i neri negli USA della fine degli anni Sessanta.

Sidney Poitier era un grande attore, che probabilmente non ha ricevuto abbastanza opportunità di carriera proprio perché nero – nonostante fosse un uomo bellissimo, non gli è mai stato concesso di recitare in un film romantico che non avesse al suo fulcro il tema della questione razziale, per timore che il pubblico potesse restare “disgustato” da una storia sentimentale incentrata su un uomo nero. Benvenuti negli Stati Uniti.

Sidney Poitier era anche un grande uomo, un attivista politico, consapevole di portare sulle spalle la responsabilità di “rappresentare fra i 15 e i 18 milioni di persone con ogni gesto che compivo.” Un attore che ha sempre preferito interpretare ruoli di uomo perbene, piuttosto che personaggi divisivi e scorretti, perché sapeva che in una temperie sociale come quella in cui si muoveva era fondamentale offrire un modello di riscatto ai suoi spettatori, più importante ancora che portare avanti una carriera artistica eclettica.

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The actor Sidney Poitier on West 125th Street in the Harlem neighborhood of New York on Jan. 14, 1959. (Sam Falk/The New York Times)

La vita di Poitier stessa non era stata semplice, specialmente ai suoi esordi. Nato nel 1927 alle Bahamas, era vissuto in una condizione di profonda povertà per tutta la sua infanzia, era stato mandato a vivere a Miami da un fratello maggiore alla verde età di quattordici anni e a quindici si era ritrovato a New York con tre dollari in tasca e nessun tipo di diploma o istruzione superiore alle spalle.

La prima volta che si era presentato all’American Negro Theatre per un’audizione come attore, era stato cacciato in malo modo a causa del suo forte accento e perché aveva difficoltà a leggere in modo fluente. Non si era arreso, aveva imparato a parlare in un inglese privo di inflessioni mentre lavorava come lavapiatti, ascoltando i programmi alla radio, e si era fatto aiutare da un collega per migliorare le sue capacità di lettura. Alla fine era riuscito a essere ammesso all’American Negro Theatre e di lì in poi sulla strada, per quanto in salita, è riuscito a trovare ruoli che lo hanno consegnato alla storia del cinema.

Perché Sidney Poitier era un grande attore e non solo un grande uomo. Nell’estate del 2020 avevo preparato un articolo su La calda notte dell’ispettore Tibbs, film che mi sembrava molto attuale, visto ciò che stava accadendo negli USA in seguito alla morte di George Floyd. Solo adesso finalmente sono riuscita a recuperare quell’articolo dai miei archivi e mi sembra giusto pubblicarlo per celebrare la vita artistica di un uomo onesto, che non è stato solo un bravo attore ma suo malgrado è diventato anche un simbolo importante di lotta e di riscatto.

Senza ulteriori indugi, vi lascio alla recensione de La calda notte dell’ispettore Tibbs.

C’era una volta il Deep South

«Virgil… un nome buffo per un ne*ro che vive a Philadelphia. Come ti chiamano lassù?».

«Mi chiamano signor Tibbs!».

L’anno è il 1967, il luogo è Sparta, cittadina di provincia del Mississippi, dove un industriale del Nord statunitense deciso a investire sul posto, viene ritrovato morto per un colpo alla testa durante una soffocante notte estiva. La caccia all’uomo scatta immediatamente e il colpevole è bello che trovato: un uomo seduto nella sala d’aspetto della stazione ferroviaria, in attesa del treno delle quattro e cinque per Memphis. Quell’uomo ha una duplice colpa: essere un forestiero in una cittadina di provincia americana ed essere nero.

Quello che non sa l’agente Sam Wood – che crede di averlo colto in flagrante – né il suo superiore, il capo della polizia Bill Gillespie – che lo tratta con tanta condiscendenza – è che il misterioso forestiero è Virgil Tibbs, ispettore di polizia a Philadelphia, che a Sparta sarebbe solo di passaggio. Sta tornando in Pennsylvania dopo aver fatto visita a sua madre, ma si ritroverà ad allungare il suo soggiorno nel Sud più profondo e razzista degli Stati Uniti nel pieno della stagione in cui i movimenti per i diritti civili prendevano piede. Fra impedimenti e ostacoli di ogni genere, l’ispettore Tibbs dovrà suo malgrado unire le forze con il capo Gillespie, per scovare l’assassino dell’industriale Colbert.

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L’agente Sam Wood ferma l’ispettore Virgil Tibbs alla stazione ferroviaria di Sparta

Più che un semplice poliziesco, La calda notte dell’ispettore Tibbs è la storia di un’indagine nei recessi più arretrati e bigotti della società americana, un’autopsia al corpo morto di una democrazia fondata sulla schiavitù feroce di una parte della sua popolazione. Una democrazia che ancora oggi deve fare i conti con un passato troppo spesso frettolosamente celebrato, ignorando tutti i morti e gli oppressi che quel passato ha seppellito.

Chiunque ha avuto accesso a un mezzo di comunicazione nell’estate del 2020, non ha potuto evitare di soffermarsi – anche solo distrattamente – sulla polveriera che stava esplodendo negli USA nel bel mezzo di una pandemia globale. Agli occhi di tutti, anche dei più strenui difensori del concetto di melting pot statunitense, risultava chiaro che nel 2020 si continuava a morire semplicemente per aver avuto la “colpa” di nascere neri – motivo sufficiente per emarginare le persone e giocare con loro al tiro al bersaglio, neanche fossero sagome di cartone.

Le testimonianze di sparatorie in cui inevitabilmente gli afro-americani finivano ammazzati – perché sommariamente giustiziati dai poliziotti o persino da semplici cittadini bianchi – hanno cominciato a moltiplicarsi dopo la diffusione del video che testimoniava la terribile e crudelissima morte di George Floyd per mano della polizia di Minneapolis.

Se tutto questo è potuto accadere nel 2020 in una città che si è sempre considerata liberale (brutto aggettivo) e capace di abbracciare il multiculturalismo, figurarsi come poteva sentirsi un afro-americano nel Profondo Sud, il Deep South, nel 1967 – quando le leggi segregazioniste di Jim Crow erano state abolite da appena un paio d’anni.

Non è un caso che la storia dell’ispettore Tibbs si svolga proprio in Mississippi – uno degli Stati statunitensi più razzisti. Ai tempi dello schiavismo il 55% della popolazione del Mississippi era costituito da schiavi neri e da questo Stato molti discendenti di quegli schiavi erano poi scappati nel corso di una lenta diaspora, che va dal 1910 agli anni Settanta circa e viene conosciuta con il nome di Great Migration, la Grande Migrazione.

Molti di loro erano andati in cerca di fortuna e opportunità negli Stati del Nordest, soprattutto in quella Philadelphia in cui lavora lo stesso ispettore Tibbs – in quegli stessi corpi di polizia che giù al Sud lo trattano come un ladro e un animale. Perché se a Sparta, Mississippi, sei nero, ben vestito e col portafogli, non puoi esserti guadagnato tutto questo col sudore della fronte. Sicuramente hai derubato un bianco.

Prendi anche tu a schiaffi un razzista

Va detto da subito: La calda notte dell’ispettore Tibbs non fornisce solo una fotografia impietosa dei mali del Profondo Sud statunitense. È un poliziesco dal ritmo sostenuto, dove la tensione narrativa resta alta fino all’ultimo minuto, pur senza incorrere nel vizio di troppi film contemporanei di concentrare tanti avvenimenti, tanti personaggi e tanti temi in uno spazio ristretto.

I personaggi che mano a mano appaiono sulla scena sono incarnazioni dei tipi umani che è facile incontrare in questi sperduti luoghi di provincia, dove la legge e i rapporti di potere sono definiti dal signorotto locale. Il feudatario di turno a Sparta è un grande proprietario terriero, che impiega esclusivamente lavoratori neri nei suoi campi di cotone. Il signor Endicott diventerà il primo sospettato sulla lista dell’ispettore Tibbs, proprio perché non vede di buon occhio i tentativi dell’industriale Colbert di costruire una fabbrica a Sparta. In questo modo Colbert offrirebbe occasioni di lavoro e di riscatto sociale a quegli stessi neri che lui vuole vedere piegati in due a raccogliere umilmente il suo cotone.

Endicott sarà protagonista di una delle scene più soddisfacenti del film, una di quelle che hanno fatto la storia del cinema americano. Sentitosi insultato dai sospetti dell’ispettore Tibbs sul suo coinvolgimento nell’omicidio di Colbert, gli sferra uno schiaffo, trattandolo con la condiscendenza infastidita che riserverebbe a uno schiavo riottoso. Quello che nessuno si aspetta – né fra i personaggi del film né fra gli spettatori – è che l’ispettore risponde. Sembra una situazione inammissibile nel Paese sui cui schermi circa venticinque anni prima si proiettava Via col Vento.

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Una scena storica per il cinema statunitense: l’ispettore Tibbs, un uomo nero, prende a schiaffi il signor Endicott, ricco proprietario terriero bianco

E invece lo fa. Uomo nero, forte, orgoglioso, l’ispettore Tibbs compie un gesto che ancora in quel tempo gli costerebbe la vita e reagisce al sopruso, riducendo questo prepotente, vecchio uomo bianco alle lacrime – lui che mai si sarebbe sognato di considerare un nero un essere umano.

Il che non significa che l’indagine di Virgil Tibbs a Sparta sia una passeggiata di salute. Se riesce a guadagnarsi da subito la stima e il rispetto della moglie dell’assassinato, la signora Colbert, ottenendo da questa l’incarico ufficioso di scoprire la verità sull’omicidio del marito, per il resto dovrà remare controcorrente. Gli toccherà affrontare il razzismo becero non solo dei colleghi poliziotti ma anche della gente perbene, quelle persone normali che con la loro ipocrisia rafforzano il razzismo e ogni oppressione sistemica giorno per giorno.

Sidney Poitier e la dignità degli oppressi

Sidney Poitier è un ottimo attore – qualcuno se lo ricorderà come protagonista dell’ancora più famoso Indovina chi viene a cena – e riesce a rendere la visione a dir poco dolorosa, per il modo in cui trasmette la rabbia impotente del suo ispettore di fronte alle maglie di un pregiudizio, che a ogni momento cerca di intrappolarlo e delegittimarlo come essere umano.

Ma ancora più degne di nota sono le scene in cui, con una dignità malinconia e silenziosa, guarda negli occhi i suoi interlocutori, mentre lo attaccano in ogni modo. Emblematica è sicuramente una delle scene iniziali, quando l’agente Sam Wood lo trova nella sala d’aspetto della stazione e lo arresta. Lo sguardo fermo con cui il Tibbs di Poitier affronta la sua pistola puntata, i gesti calcolatamente calmi e controllati, il silenzio rassegnato con cui lo segue in centrale, tradiscono la consapevolezza di trovarsi in una situazione delicata e non insolita, in cui è impossibile ribellarsi. In quanto nero non c’è Stato, in questo frammento di USA, che lo proteggerebbe. Tutt’altro. Quello Stato, nella persona dei suoi rappresentanti, non vede l’ora di punirlo.

A far da contraltare all’ispettore Tibbs c’è un altrettanto efficace Ron Steiger nel ruolo del bianco e razzista capo della polizia locale, Bill Gillespie. Pure lui è un tipo ricorrente in queste cittadine di provincia ma, a differenza dei compaesani, sarà costretto a mettere in discussione molti dei propri comportamenti. Nel corso di queste indagini nel pieno di un’estate soffocante, il capo Gillespie dovrà abbandonare il suo sguardo da privilegiato per confrontarsi con la crudeltà dei suoi concittadini e di un sistema che è ingiusto e stupido.

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L’ispettore Virgil Tibbs e il capo Bill Gillespie alla stazione di Sparta

Sarà anche costretto a riconoscere che il collega ispettore Tibbs è una persona degna di rispetto, soprattutto dopo essere stato testimone di quali gravi minacce lo perseguitano in quanto uomo nero che sfida i bianchi al potere, invece di piegarsi ai loro soprusi. Il fantasma dei linciaggi commissionati dall’alto aleggia ripetutamente nel corso del film e atterrisce lo spettatore tanto quanto l’ispettore Tibbs.

Se alla fine della storia il capo Gillespie sarà un essere umano più decente il merito lo dovrà anche ai numerosi scontri verbali con l’ispettore Tibbs, che non cerca mai di metterlo a suo agio nel suo razzismo più o meno volontario ma che pure è capace di grande comprensione umana di fronte alla sua solitudine.

La calda notte dell’ispettore Tibbs è una visione consigliata sotto molti aspetti: come poliziesco; come documento storico di un’epoca non molto lontana dalla nostra (attenzione al doppiaggio storico, dove i neri vengono definiti più di una volta “ne*ri”); come testimonianza di dinamiche sociali tutt’altro che risolte; come più che discreta prova attoriale e anche per la sua colonna sonora, prodotta niente meno che da Quincy Jones.


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