Di topolini (non Disney) coraggiosi e dove trovarli
Se il nome Don Bluth non vi dice niente, sicuramente invece titoli come “Anastasia”, “Alla ricerca della Valle Incantata”, “Fievel sbarca in America” e “Charlie – Anche i cani vanno in Paradiso” ricorderanno a molti di voi un discreto pezzo di infanzia.
Nessuno di questi era un film Disney ma, soprattutto nel caso di “Anastasia”, spesso sono stati confusi per film confezionati dallo studio d’animazione più potente del mondo. La confusione è lecita, visto che Don Bluth ha lavorato per la Disney come animatore: prima al fianco di John Lounsbery, per “La Bella Addormentata nel Bosco”, poi lavorando, fra gli altri, a film come “Robin Hood” e “Le avventure di Bianca e Bernie”, e infine partecipando alle fasi iniziali del progetto di “Red e Toby: Nemiciamici”.
Questo destino di confusione costante è stato tanto forte, che ancora oggi molti scambiano “Brisby e il segreto di NIMH” per un classico d’animazione Disney, anche se è stato il primo lungometraggio animato della Don Bluth Production.
Con una storia complicata alle spalle, ovviamente.
Di Genitori preoccupati e ratti sapienti
“Jonathan Brisby è stato ucciso oggi, mentre ci stava aiutando a mettere in atto il nostro progetto. Sono passati quattro anni dalla nostra fuga dal NIMH e il nostro mondo sta cambiando. Non possiamo restare qui più. Jonathan era un caro amico. Non so proprio come fare ad aiutare la sua vedova. Lei non sa nulla di noi e del nostro progetto. Forse è meglio che non faccia niente, per il momento”.
Due mani nodose, dai lunghi artigli, ricoperte di rughe e verruche, vergano alla luce di una candela ormai morente, in punta di penna d’oca, parole fatte di luce e di inchiostro su un vecchio libro, raccontandoci il tragico prologo che ha portato alla vedovanza della signora Brisby, protagonista quasi assoluta di questo film. L’atmosfera è cupa, governata dalle ombre, fitta di mistero. C’è una topolina, la signora Brisby, che deve traslocare dal campo della fattoria dei Fitzgibbon alla sua residenza estiva. Il trattore sta per essere messo in moto ma Timmy, uno dei suoi quattro figli, è bloccato al letto con una brutta polmonite e non potrà uscire da casa per tre settimane – altrimenti rischia la morte.
A peggiorare la situazione c’è anche il gatto di famiglia, il terribile Dragon, che si diverte a dare la caccia ai topi e ai ratti che popolano i campi, e gli uomini del NIMH, interessati ai roditori che vivono abusivamente nei rovi intorno alla fattoria. Quando il Grande Gufo consiglia alla signora Brisby di chiedere aiuto ai ratti per far spostare la sua casa, verrà fuori che anche la loro colonia è agitata da gravi turbamenti e da una spaccatura fra i fedeli di Nicodemus, il loro capo, e i seguaci del perfido e ambizioso Cornelius. Quest’ultimo è determinato non solo a impadronirsi del ruolo di Nicodemus, ma anche a continuare a vivere nella fattoria, rubando energia e cibo agli esseri umani.
Nel mezzo tutta una serie di comprimari e aiutanti, buffi ed esagerati – come zia Bisbetica e il corvo Geremia – ma anche molto verosimili. Martin, uno dei fratellini di Timmy, è la perfetta rappresentazione di un moccioso indisponente e sfrontato, e i suoi botta e risposta con zia Bisbetica sono a dir poco esilaranti. E poi ci sono i “grandi vecchi”, saggi e a volte scontrosi, come il Grande Gufo e il signor Agenore, o decisamente più gentili e mistici, come l’anziano Nicodemus. C’è persino spazio per un interesse romantico – le gentilezze che si scambiano la signora Brisby e la guardia Giustino sembrano, per lo meno, puntare in quella direzione – in una storia che ha tutti i crismi per essere annoverata nel solco del dark fantasy o del fantasy contemporaneo, più che nella fantascienza.
“Brisby e il segreto di NIMH”, tuttavia, non è una sceneggiatura originale ma l’adattamento di un libro di favole di Robert C. O’ Brien: “Mrs Frisby and the rats of NIMH” – ispirato alla storia vera degli esperimenti condotti da John B. Calhoun su topi e ratti al National Institute of Mental Health, negli Stati Uniti. Don Bluth ne ha preso gli aspetti salienti ma ha ristrutturato la caratterizzazione di molti personaggi, a partire dalla protagonista, resa responsabile in prima persona del suo destino, invece che passiva damigella in difficoltà alla ricerca di aiuto.
E poi c’è l’amuleto dalla lucida pietra rossa, il cui potere può essere risvegliato solo da un cuore coraggioso, tenuto in custodia da Nicodemo. Che qui è il capo della comunità di ratti intelligenti sfuggiti al NIMH, grazie all’aiuto del defunto Jonathan, ma è anche un potente mago. La scelta di infondere di un misticismo fantastico la storia originale, che era una fiaba dal sapore fantascientifico, è stata fortemente voluta da Don Bluth. Secondo il regista materializzare in un gioiello magico la forza d’animo della piccola topolina, vedova e con quattro figli a carico, era l’unico modo di rappresentare efficacemente in un lungometraggio animato le sue qualità.
Il desiderio di aggiungere un sostrato spirituale a una fiaba moderna probabilmente affonda le sue radici anche nel vissuto di Don Bluth – che proviene da una famiglia mormone e che nel 1957 aveva lasciato la Disney per trascorrere due anni e mezzo come missionario mormone in Argentina. Resta il fatto che l’aggiunta di un elemento misterioso rende l’avventura della vedova Brisby decisamente più intrigante e lascia spazio all’uso di effetti speciali di tutto rispetto – confezionando scene a dir poco “luccicanti” e coinvolgenti, come quella del risveglio dei poteri nascosti dell’amuleto.
La scelta di lasciare più spazio agli archi narrativi di personaggi secondari come il corvo Geremia, la guardia Giustino e il perfido Cornelius, rende il loro percorso più completo e permette di movimentare il ritmo della storia, senza aggiungere troppi fili di trama da lasciare poi tragicamente in sospeso. I due fulcri narrativi di “Brisby e il segreto di NIMH” sono il trasloco avventuroso della signora Brisby, che deve proteggere e salvare tutti e quattro i suoi figli, e un altro genere di trasferimento, che riguarda la colonia dei ratti e anche il loro modo di vivere – da ladri ad animali indipendenti, che abitano nella foresta, sostentandosi grazie all’uso della loro intelligenza.
Uno dei meriti più grandi di “Brisby e il segreto di NIMH”, al di là delle tecniche di animazione, è proprio quello di essere un film narrato a misura di topo. Tutto assume prospettive a dir poco mostruose, visto dalla prospettiva degli occhietti della signora Brisby: che si tratti del fiumiciattolo che scorre vicino alla fattoria dei Fitzgibbon o del terribile aratro a motore, che rischia di radere al suolo la sua casetta, improvvisata sotto una pentola rotta nel mezzo del campo da arare. Spaventose, soprattutto, sono entità come Dragon, il perfido gatto orbo del padrone della fattoria, e il Grande Gufo. Due predatori naturali dei topi – il primo sembra una temibile pantera piena di cicatrici di guerra, il secondo è un’autorità misteriosa che, per volere di Bluth, condivide molti tratti con Nicodemus, a cominciare dagli occhi brillanti, per continuare con i lunghissimi baffi bianchi.
Una guida infusa di potere magico e conoscenza, certo, probabilmente la rappresentazione più oscura della sapienza e del potere del capo dei ratti, ma in ogni caso una figura angosciante – come i ragni che affollano la sua dimora e che ricordano la gigantesca Shelob di ben altra opera fantasy. L’apparizione del gigantesco Grande Gufo, coi suoi occhi brillanti privi di pupille e il movimento agghiacciante con cui ruota la testa, dopo aver schiacciato il suddetto aracnide, fa tremare la signora Brisby ma ha fatto tremare anche più di un bambino.
L’intero mondo di Brisby è spaventoso e pieno di pericoli, come può esserlo soltanto per un topo in balia di forze più grandi di lui, soprattutto se si tratta degli esseri umani, interessati solo a sterminare la sua specie o, peggio, a catturare quelli come lui, per usarli come test per esperimenti a dir poco loschi.
Produzioni avventurose e marketing poco accorto
E se il terrore viene instillato con efficacia nello spettatore, è soprattutto grazie al lavoro di animazione di Don Bluth, squisito e ricco di artigianali effetti speciali. Il regista era intenzionato a recuperare l’animazione tradizionale più curata, che aveva caratterizzato i classici realizzati durante la Golden Era dei cartoni animati. Le animazioni sono fluide, tutte a passo uno e tutte realizzate usando il rotoscopio, proprio come si faceva una volta in casa Disney. Si stagliano tutte su fondali spesso scuri ma ricchissimi di particolari – che richiedono una visione attenta e anche ripetuta. C’è un deciso uso della luce: dagli occhi luminosi di personaggi come Nicodemus alle scritte brillanti, ai fasci colorati e abbaglianti prodotti da sfere magiche (che però sfruttano l’elettricità), fino alla polvere luminosa che si sprigiona, per esempio, dall’apertura del libro del saggio capo dei ratti.
Le immagini vengono composte su più livelli, con l’ausilio della gelatina colorata e dei mascherini, per rendere gli effetti speciali più brillanti, ma l’uso della luce non si limita alla retroilluminazione. Bluth aveva individuato diverse palette di colori per i personaggi, a seconda dei diversi luoghi e momenti del giorno in cui si muovevano: dal giorno alla notte, dagli ambienti sotterranei al mondo sott’acqua. È così che, per esempio, la signora Brisby possiede ben quarantasei palette colorate.
Un lavoraccio. Tanto che, nonostante circa cento animatori dipendenti dello studio abbiano lavorato dal gennaio del 1980 al giugno del 1982 alla realizzazione del film, la colorazione dei rodovetri (i cel, i fogli di celluloide trasparente) era stata appaltata a quarantacinque animatori, che lavoravano da casa. Un’opera così curata fece, ovviamente, levitare il budget. Come produttore esecutivo si era offerto James L. Stewart, altro transfuga della Disney, che aveva fondato appena nel 1978 l’Aurora Production. Stewart stesso, Don Bluth e Gary Goldman e John Pomeroy (animatori che con il regista avevano fondato la Don Bluth Production e avevano prodotto il film) furono costretti a ipotecarsi collettivamente le case, per raggranellare i 700.000 dollari in più che servivano per terminare il film.
Era uno sforzo economico che si aggiungeva alla richiesta, fatta a molti di animatori, di lavorare senza ricevere subito compenso. Vennero loro promesse delle quote sui ricavi del film – ed era la prima volta che a degli animatori veniva fatta un’offerta del genere.
E poi c’erano le voci – fra le quali spiccava John Carradine, attore shakespeariano che aveva dato vita al Grande Gufo – tutte scelte con accuratezza per rispecchiare al meglio i caratteri dei personaggi. Anche il doppiaggio era stato, a suo modo, avventuroso, quando l’Aurora Production non aveva ottenuto l’autorizzazione a usare il nome “Frisby” dalla Wham-O, perché assonante al prodotto più famoso di questa azienda. Il frisbee, appunto.
L’esperienza con il lungometraggio animato era stata un’avventura anche per Jerry Goldsmith, a cui era stata affidata la colonna sonora. Era la prima volta che il compositore lavorava a un film d’animazione – e stiamo parlando dell’uomo che aveva realizzato colonne sonore per film come “Alien”, e che poi avrebbe lavorato anche a produzioni come “Atto di forza” e “Basic Instinct”. Un grande professionista ma perplesso dal modus operandi – costretto a comporre guardando scene disegnate in bianco e nero, si teneva costantemente in contatto con la Don Bluth Production, per avere delucidazioni sui colori e i costanti aggiustamenti alla trama e alle scene. Alla fine decise di approcciare “Brisby e il segreto di NIMH” trattandolo come avrebbe trattato un “normale” film in live-action. E il risultato è una colonna sonora che punteggia al meglio le scene più coinvolgenti del film, e lo fa armonizzandosi all’ottimo lavoro svolto del progettista del suono David Horton.
E nonostante tutto questo, nonostante la cura della tecnica e i personaggi ben gestiti, “Brisby e il segreto di NIMH” non solo non fu un successo ma quasi passò inosservato. “Merito” della MGM, che non provò nemmeno a pubblicizzare adeguatamente il film (vizio anche di altre case di distribuzione, a cominciare dalla Warner Bros, che ha spesso colpito film d’animazione “minori”) (è capitato anche alla Disney con piccole perle come “Il Pianeta del Tesoro”).
Brisby diventerà un cult solo una manciata di anni dopo, quando nel 1990 verrà distribuito in VHS e si guadagnerà un discreto seguito di estimatori, non solo fra i critici – che ai tempi già lo avevano lodato – ma anche nel pubblico generalista. E quel che è certo è che “Brisby e il segreto di NIMH” possiede tutte le caratteristiche perfette per essere un classico dell’animazione. Non per gli animaletti carini che parlano ma perché è un’avventura ricca di oscurità e di pericoli, di difficoltà apparentemente insormontabili, da cui i protagonisti possono venire fuori solo continuando a lottare.
Una di quelle visioni consigliate anche agli adulti, perché Brisby è uno di quei film d’animazione in grado di emozionare anche loro.
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