Storie di vite che non si rassegnano
Dopo quel mitico viaggio alle Hawaii, per me la mia famiglia è come uno splendido campo di fiori, un mondo incantato. Se per esempio dovessi associare i membri della famiglia Takashima ai colori dei fiori, mamma Izumi sarebbe un viola molto intenso, mamma Choko un rosa pallido e delicato, Sō-chan un verde acqua. Solo io non saprei dire quale colore sarei, non me ne viene in mente nessuno.
La locanda degli amori diversi, p. 257
La locanda degli amori diversi è un racconto a quattro voci, in cui i quattro componenti della famiglia Takashima – ‘Takashima’ dall’unione dei due cognomi delle protagoniste e madri di questo raccolto nido familiare – si alternano nel raccontarci le vicende della loro vita in un romanzo che, come un lungo diario corale, raccoglie le vicissitudini di diciassette anni di vita.
Quella che Ito Ogawa consegna al lettore è una collazione eterogena di slices of life, stralci di vita, riassunti e raccontati molto più che mostrati, da quattro voci che nella ragionevolezza finiscono per assomigliarsi molto più di quanto si differenzino – forse anche in virtù di quell’effetto osmotico per cui i componenti di una famiglia molto unita finiscono per prestarsi modi di dire e scambiarsi pensieri ed abitudini.
L’effetto finale è quello, discontinuo e un po’ sfilacciato, che si porterebbe dietro un manga josei, di quelli a puntate, dove l’omogeinità narrativa tipica di un romanzo unisco sfioriscei n favore di un racconto per segmenti, che spazia per lunghissimi periodi di tempo, quasi a voler abbracciare lo spazio di un’intera saga familiare – e in questo non tradendo lo spirito del titolo.
Perché il romanzo di Ito Ogawa è davvero la storia della Locanda Arcobaleno – una locanda dove gli amori diversi non sono solo quelli delle coppie LGBT*QIA. Gli stessi legami affettivi fra parenti, amici, vicini e persino fra avventori e proprietarie della locanda sono vissuti con una diversità che si oppone alla rassegnata uniformità a cui i rapporti codificati, della società giapponese e non solo, ci hanno abituato.
Gli scricchiolii di una narrazione da fiaba
Mi è difficile dare un giudizio preciso su La locanda degli amori diversi. Credo che la forza e la debolezza della narrazione di questo romanzo si possano entrambe riassumere nell’ingenuità estrema con cui Ito Ogawa si approccia agli argomenti trattati: c’è molta semplicità in questo libro, una semplicità che, nel bene e nel male, a tratti lo fa assomigliare a una fiaba. Il racconto, soprattutto nelle fasi iniziali, presenta accelerazioni improvvise, quasi inverosimili, e più e più volte la Ogawa presenta scoppi improvvisi di conflitti che, nonostante la loro intensa tragicità, finiscono per risolversi in maniera fin troppo sbrigativa e semplicistica.
Se dovessi riassumere i problemi de La locanda degli amori diversi, due sono i punti che individuerei come critici: lo stile e il finale.
È davvero difficile entrare nel flusso del racconto, quando la prima persona dei personaggi viene impiegata per consegnare al lettore una narrazione tanto diaristica. Agli occasionali episodi raccontati nel dettaglio si susseguono pagine e pagine di riassunti di vicende che ci scorrono velocemente davanti agli occhi. Anche il sistema a quattro voci – ognuno dei quattro macro-capitoli è raccontato dalla prospettiva di un membro della famiglia Takashima differente – si annacqua nella profonda somiglianza che queste voci hanno fra loro.
Izumi, Chiyoko, Sōsuke e Takara hanno tutti lo stesso stile misurato e ragionevole, pronti a sottolineare le loro mancanze e i loro difetti, persino mentre riferiscono di furiosi litigi o vicende dolorose. Alla lunga la narrazione diventa stancante e l’impressione finale è quella di essere rimasti sulla soglia della Locanda Arcobaleno, ad assistere alle vicende della famiglia Takashima con troppa distanza, senza aver avuto alcuna possibilità di essere coinvolti.
Il secondo limite di questo libro è il finale, o meglio, due distinti eventi che accadono a quaranta pagine dalla fine e che, a primo impatto, mi hanno lasciata perplessa. Sono eventi che stridono con l’atmosfera fino a questo momento tutto sommato ovattata dell’opera, eventi intrisi di un’esasperata carica melodrammatica che lasciano un po’ l’amaro in bocca.
La difficoltà di vivere allo scoperto
Sarebbe però ingiusto ridurre La locanda degli amori diversi ai suoi difetti. Lo considero un libro prezioso per molti, altri versi.
Prima di tutto, naturalmente, per i temi che tratta. Izumi e Chiyoko, dopotutto, sono una coppia lesbica e la Ogawa cerca di trattare con realismo la loro condizione. Il loro rapporto non è feticizzato, né in positivo né in negativo: si amano molto ma, come in tutte le coppie, ci sono momenti di incomprensione, litigi, scontri e ricomposizioni.
Si amano molto, dicevo, ma il mondo attorno a loro non è intenzionato a facilitare la loro unione. Ci sono invidie e gelosie, pregiudizi e opposizioni, né la Ogawa risparmia di ricordare al lettore che le coppie omosessuali in Giappone non godono degli stessi diritti di quelle eterosessuali, non importa quanto si amino e quanti problemi questo impedimento crei nella vita quotidiana e nella gestione dei figli.
Un altro aspetto in cui la Ogawa dimostra la sua bravura è nell’approccio differente che Izumi e Chiyoko hanno al loro orientamento e al loro rapporto. Forse anche in virtù della loro differenza d’età – sedici anni le separano – si trovano allo spettro opposto: la diciannovenne Chiyoko non ha esitato a rompere i rapporti con la sua famiglia, pur di vivere alla luce del sole la sua condizione; molto più restia a fare coming out è Izumi, per di più fin troppo conscia dello sguardo altrui e dell’accoglienza che la società giapponese riserva alle ‘persone come loro’. I contrasti e le paure che gravano sul loro rapporto, almeno nelle primissime fasi, sono reali, palpabili e convincenti.
E d’altronde come racconto di vita La locanda degli amori diversi adempie perfettamente al suo compito: non c’è solo il lento svolgersi delle giornate di una famiglia normale con tutte le sue difficoltà. Il modo in cui tante vicende colpiscono i quattro protagonisti sembra casuale ma ricalca esattamente il modo in cui la vita reale si svolge.
Non c’è un senso finale o un messaggio superiore da comunicare; l’unico intento è quello di mostrare la storia di una famiglia come tutte le altre o che vorrebbe esserlo, se la società attorno ad essa le permettesse di vivere in totale tranquillità.
Alla fine della lettura resta quel senso di incompletezza tipico delle storie di vita, perché dove si chiude un arco, subito se ne apre un altro. E, in fondo, già ai che Izumi, Chiyoko, Sōsuke e Takara ti mancheranno. E questa è sicuramente una delle più grandi forze di La locanda degli amori diversi.
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