L’eterno ritorno della (non) rosea vita di un universitario giapponese
Prendete la teoria dell’eterno ritorno, mescolatela con quella degli infiniti universi paralleli, aggiungeteci una generosa spolverata di folklore e vita quotidiana e quello che otterrete è The Tatami Galaxy o, per citare il suo sottotitolo: ‘leggende e miti delle stanze da quattro tatami e mezzo’.
Stanze da quattro tatami e mezzo come quella del pensionato studentesco in cui abita l’innominato e sfigatissimo protagonista delle undici puntate di questa serie – tratta da una light novel giapponese e disponibile su VVVVID – che MadHouse adattò in formato anime nell’ormai lontano 2010.
Il risultato è una serie surreale e irresistibile per gli amanti delle slice of life venate di mistero e di una buona dose di fantascienza, più che di occulto. Il risultato è anche una sorprendente storia di vita che, attraverso un gioco a incastri fittissimi ma ben dosati, prende lo spettatore per mano e lo porta nel labirinto delle scelte infinite in cui siamo incastrati anche noi nella nostra vita quotidiana, quelle che ci siamo lasciati alle spalle, quelle che stiamo facendo e quelle che ancora ci aspettano lungo il cammino.
The Tatami Galaxy è il trionfo del mondo dei ‘se’ e dei ‘ma’, anzi, no, è la storia dei viaggi nel tempo di uno studente universitario alla ricerca della perfetta ‘rosea vita universitaria’. Anzi, neppure. The Tatami Galaxy è contemporaneamente un racconto di vita nella tradizione dei ben più poderosi Bildungsroman ottocenteschi, è un piccolo e delizioso rompicapo a metà fra il mistery e lo sci-fi, ed è pure una serie a suo modo leggera, che fa ridere nel puro stile surreale ed esasperato che vena l’estetica di molti anime giapponesi. E lo fa al meglio delle sue possibilità.
La trama
Tutto parte da un desiderio: quello dell’innominato protagonista – da qui in poi lo chiamerò ‘Watashi’ (‘io’, in giapponese), come fa buona parte del fandom – alla ricerca della vita universitaria perfetta, della scelta giusta che gli avrebbe permesso di farsi cento amici, avere una florida vita sociale, fare grandi progressi nello studio e, soprattutto, conquistarsi l’amore di una bella ragazza dai capelli corvini.
In un lungo, torrenziale monologo in cui nemmeno sembra riprendere fiato, Watashi mostra allo spettatore gli attori ricorrenti delle sue storie, quei punti di riferimento onnipresenti in ogni puntata della serie, pilastri immutati mentre gli infiniti universi paralleli si riavvolgono e ricominciano a scorrere attorno a loro. Tutto è cominciato quando Watashi si è iscritto al Circolo del Tennis Cupid, nella speranza di far colpo su una giovane compagna di corso, Kohinata, da cui però è stato brutalmente rifiutato. Incapace sia di trovare l’amore sia di farsi una vita sociale, Watashi finisce nelle spire di Ozu, uno studente del suo stesso anno che frequenta ingegneria, che ha l’aspetto di un demone e dichiara orgogliosamente di volerlo trascinare a fondo insieme a sé, perché loro due sono legati dal filo nero del destino.
Non è esattamente la migliore dichiarazione d’amicizia ma Watashi scopre di non riuscire a separarsi dal nemico-amico e si fa trascinare da lui per due anni in un’infinita teoria di scherzi subdoli ai danni dei compagni di circolo, fa separare coppiette, spinge i conoscenti ai litigi più aspri, rovina persino le serate sul fiume sparando fuochi d’artificio sulla folla… e finisce per farsi dare dello stupido da Akashi, kohai di un anno più giovane e anche lei al corso di ingegneria che un misterioso dio delle coppie – chiamato Seitarou Higuchi e che abita al primo piano della pensione in cui dimora anche il protagonista – ha promesso che legherà a Watashi oppure a Ozu… tutto dipenderà dalle scelte di quest’ultimo. Nel mezzo ci sono il misterioso gestore del ‘Ramen del Gatto’, il senpai di Watashi e rivale di Higuchi, il vanesio Jougasaki, e una bella igienista dentale con il vizio dell’alcool di nome Hanuki.
È da qui che comincia la storia, dunque? Non esattamente, perché allo scadere del ventunesimo minuto della prima puntata, messo alle strette da una folla inferocita dagli scherzi in cui Ozu lo ha trascinato, Watashi esprime il disperato desiderio di rivivere gli ultimi due anni della sua vita, così da fare la scelta del circolo universitario giusto, questa volta, e potersi incamminare finalmente verso la ‘rosea vita universitaria’ che crede di meritarsi. Quello che segue sono dieci puntate dove il tempo continua a riavvolgersi ma Watashi finisce per restare intrappolato in situazioni sempre più surreali, continuando a ignorare quell’opportunità che danza davanti ai suoi occhi e che una misteriosa indovina continua a segnalargli puntata dopo puntata… spillandogli un sacco di quattrini.
Un serpente che si morde la coda
C’è un’avvertenza per chiunque si avvicini a The Tatami Galaxy per la prima volta: Watashi parla dannatamente veloce. I primi minuti della puntata, sottotitoli alla mano, si fa una certa fatica a stargli dietro, perché l’innominato protagonista non riprende mai fiato, mentre introduce il lettore nel distretto di Kyoto in cui abita, e c’è bisogno di fermare il video almeno un paio di volte per perdersi a leggere tutte le scritte che compaiono sullo schermo, mentre fiumi di parole ti si riversano nei timpani.
Eppure.
Eppure la storia si avvia immediatamente, sulle ali dell’inesauribile voglia di raccontare le sue vicissitudini che Watashi ha, a dispetto dell’aspetto e delle doti personali assolutamente mediocri. Watashi è – o forse soltanto sembra – una persona normalissima ma, più la storia prosegue, più ci si accorge di quante particolarità nella sua mediocrità Watashi abbia; si può tenere il conto delle sue piccole manie, delle sue ferree convinzioni, della sua filosofia di vita. Quello che rende Watashi ‘normale’, nel senso più statistico del termine, è quanto sia facile immedesimarsi nelle sue scelte ma soprattutto nei suoi rimorsi e nei suoi piccoli vizi: come moltissimi di noi, Watashi vive nel regno delle possibilità irrealizzabili e irrealizzate, si guarda sempre indietro, rimproverandosi per non aver fatto questa o quell’altra scelta, piuttosto che mirare al futuro e chiedersi cosa possa fare per migliorarsi… almeno per buona parte della serie.
Non spoilererò il finale di The Tatami Galaxy, basti dire che è molto intricato, molto emozionale e, strano a dirsi per chi crede che una serie surreale debba non avere né capo né coda, mette in fila tutte le stranezze osservate nelle puntate precedenti, risponde a ogni piccola domanda, svela qualsiasi retroscena immaginabile e consegna allo spettatore una profonda lezione di vita. Il Watashi che incontriamo alla fine della serie è molto cambiato rispetto al se stesso della prima puntata e ha vissuto un travaglio che non sta a me dire se sia stato solo un viaggio interiore oppure un vero e proprio viaggio interdimensionale alla ricerca della versione più vera di se stesso, alla ricerca di quell’universo in cui, finalmente, poter cogliere l’opportunità che troppo a lungo si è lasciato sfuggire.
Tutta la corte di personaggi principali che circonda Watashi è particolarissima, fitta di difetti e a volte anche di virtù, dei tipi umani caratterizzati con forza, che possono solo piacerti per quanto – anche loro – sappiano essere davvero umani. A spiccare, fra tutti, ci sono sicuramente Ozu – il migliore amico di Watashi, dall’aspetto demoniaco, che sempre lo costringe all’azione e a buttarsi a capofitto in un’impresa assurda – e Akashi, non semplice love interest ma donna a tutto tondo dal carattere forte e dall’insospettabile terrore per le falene. E se Higuchi e Jougasaki si segnalano per la loro faida universitaria quinquennale – e per il fatto che il primo sembri davvero uno spirito scappato da un tempio e il secondo sia un, beh… un ‘ubriaco di mammelle’ per dirla con le parole di Ozu – Hanuki, esattamente come Akashi, si segnala per essere un altro bel personaggio femminile, spigliato e molto indipendente, con tutta una serie di sconclusionatissime abitudini.
E quindi?
The Tatami Galaxy è una serie particolare, un po’ di nicchia, che gli amanti delle slice of life e della fantascienza sicuramente potranno apprezzare ma anche chi è alla ricerca di storie di vita e non si lascia scoraggiare da una buona dose di stranezze. Oltre alla trama, intricatissima, è da segnalare anche l’animazione – un misto di animazione tradizionale, che fa un po’ il verso ai ‘fumetti’ delle pergamene giapponesi, e animazione 3D, con inserti di scene girate in live action che conferiscono un effetto ancora più surreale all’estetica generale della serie.
E poi ci sono le musiche: se l’opening e l’ending sono già di loro molto belle – la sigla d’apertura è opera degli Asian Kung-Fu Generation, mentre è la voce morbida di Etsuko Yakushimaru ad avvolgere le note di chiusura – tutta la colonna sonora di Michiru Oshima, che accompagna le vicissitudini di Watashi, Ozu e compagni è di ottima qualità, conferisce ancora più spirito e vivacità a molte scene, tanto che merita di essere ascoltata anche separatamente.
In definitiva The Tatami Galaxy è una serie che merita almeno un rewatch – perché è solo durante la seconda visione che si connettono appieno tutti gli elementi e gli indizi sparsi qui e là – ma ogni episodio scivola benissimo fin dalla prima visione, fa ridere da morire, fa riflettere e riesce persino a tenerti col fiato sospeso. Ciò che più conta, è una serie i cui personaggi restano tutti nel cuore dello spettatore, tanto che finisci per aver voglia di rivederla immediatamente solo per incontrarli nuovamente.
Un gioiellino consigliatissimo.
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