… non vorrete spoiler nel titolo?!

Twin Peaks 3: Dale e Laura

Ebbene.

Se sei (come me) un fan di Twin Peaks dell’ultima ora non puoi capire.  Non puoi capire cosa significa dover aspettare la bellezza di ventisei anni per scoprire che fine ha fatto Dale Cooper o se Audrey Horne è sopravvissuta all’esplosione nella banca… ma, soprattutto, per goderti il ritorno di David Lynch con pieni poteri sulla sua creatura – via la ABC, via i produttori ficcanaso e incompetenti, via anche il dovere di ammiccare al pubblico a tutti i costi. Sei il regista di una serie che, volenti o nolenti, ha cambiato il modo stesso di concepire e raccontare le serie TV – dimostrando che anche un prodotto per lo schermo televisivo può essere di buona qualità e andare in profondità nel raccontare il meglio e il peggio dell’animo umano.

Certo, dopo ventisei anni c’è stato un tale moto di rivoluzione nel mondo dell’entertainment che Twin Peaks torna con la sua terza stagione in un panorama nettamente cambiato, fra serie TV di altissimo livello che ricevono il plauso della critica e il cinema che “fa numeri” ormai intasato solo di blockbuster, costruiti su sceneggiature che riadattano qualsiasi storia già vista altrove, pur di sfruttarne l’onda lunga del successo.

Torni e già ti becchi le critiche, perché qualcuno si aspettava un altra rivoluzione da te – come se le rivoluzioni si misurassero dopo appena due puntate dalla messa in onda – come se fossimo ancora nel 1991 e il mondo delle serie TV non fosse andato avanti, anche grazie a Twin Peaks. Con buona pace di chi vuole cercare il pelo nel l’uovo a tutti i costi, però, David Lynch è tornato e, a giudicare dal contenuto delle prime due puntate, è finalmente libero di fare tutto quello che gli pare.

Psichedelia, portami via

Non starò qui a farvi il riassunto spoilerone di cosa è accaduto nelle prime due puntate, non farebbe onore al telefilm. Non è che due episodi del genere si possano raccontare, bisogna vederli, perché – com’è d’uso con Mr. Lynch – qui è tutto affidato all’interpretazione dello spettatore e non è nemmeno detto che ci si capisca qualcosa.

Tutt’altro.

tl;dr: io delle prime due puntate di Twin Peaks non ci ho capito quasi nulla. Ed è splendido. L’impressione molto palpabile è che la storia sia così complessa e ricca di rimandi, che forse soltanto alla fine dell’ultima puntata si potrà afrenare tutto o quasi di quello che sta accadendo.

Lynch è andato oltre la patina già visionaria della prima stagione e di quella parte della seconda su cui aveva ancora il controllo. Mentre il piano del reale e quello del trascendentale  si erano finora alternati con una netta predominanza del primo – perché era il mistero dell’omicidio di Laura Palmer che volevamo risolvere insieme con Dale Cooper – adesso è il lato visionario a prendere il sopravvento, generando un effetto da trip psichedelico che lascia sconvolti ma anche soddisfatti.

Quello che Lynch sta cercando di fare, in fondo, è dare una forma completa alla sua creatura, chiudere il cerchio, risolvere in maniera altrettanto enigmatica i misteri delle vite di tutte le persone ancora coinvolte. D’altronde la vera forza di Twin Peaks – quel dettaglio che l’aveva resa una serie TV rivoluzionaria – non sta tanto nel mistero in sè o nello sconvolgente colpo di scena e nemmeno, o non soltanto, in questa commistione di reale e visionario.

Cosa resterà di questi anni Novanta

Il punto è che Laura Palmer e il mistero della sua morte sono sempre stati un “pretesto” per raccontare altro, qualcosa di più grande e di più complesso di un semplice omicidio. Nei piani originari di Lynch quella risoluzione doveva arrivare alla fine, per tenere intatta la suspense ma soprattutto per avere lo spazio di raccontare come si svolgevano le vite dei personaggi, quali misteri gli altri abitanti della piccola e asfittica cittadina di provincia nascondevano.

Ed è quello che Lynch ha ricominciato a fare, adesso che finalmente è libero di intrecciare la trama come vuole. E così ci sarà un altro omicidio – non uno solo, in realtà – da dover risolvere, mentre le vite di vecchi ma anche nuovi personaggi si svolgono come il bandolo di una matassa davanti ai nostri occhi. C’è Dale Cooper – quello vero – che dev’essere pronto a poter uscire dalla Loggia Nera, perché il ritorno nel mondo reale non è affatto semplice – c’è il suo doppelganger, che negli ultimi venticinque anni ha avuto una vita tutta sua, di cui non sappiamo nulla e di cui le prime due puntate ci hanno fatto appena balenare qualche sprazzo. È tutto molto misterioso, né Lynch sembra aver fretta di mostrarci ogni cosa.

Ancora più importante è il fatto che il tempo sia passato. Sì, anche in Twin Peaks, anche nel mondo di Lynch, che conserva la sua regia visionaria, fatta di sprazzi di vita quotidiana, scenari psichedelici, indizi gettati qui e là come semi che chissà quando germineranno. C’è che non siamo più negli anni Novanta e la sensazione si avverte palpabile in ogni scena, nel modo in cui i personaggi di venticinque anni fa sono cambiati, perché il tempo ha lasciato il segno su tutti loro. Lo si avverte nelle atmosfere, soprattutto, nell’aria rarefatta e disincantata di una storia che continua a voler scavare negli antri più bui dell’animo umano e si aggiorna alla contemporaneità.

Perché il tempo è passato e non lo si avverte solo al livello più estetico delle inquadrature, dei vestiti, degli effetti speciali, delle musiche scelte. Nonostante tutto, da quel poco che si può ricavare dalle prime due puntate, il dato più stupefacente è che Twin Peaks non sembra essere rimasto aggrappato al passato. Si ha la stessa, identica sensazione che si prova ritrovando una persona reale dopo venticinque anni di assoluta e totale lontananza: non è più la persona che conoscevamo, la vita l’ha cambiata, pure se ritroviamo in lei qualcosa di familiare, una sensazione sbiadita e nostalgica, come quella che si avverte riaprendo un vecchio baule e si viene investiti da un odore antico intrappolato nel legno.

È solo un attimo, però, poi la fragranza si perde, assorbita e rimasticata da un presente che corre veloce, divorando un po’ tutto. In ogni caso, il viaggio è appena cominciato e c’è ancora tantissimo da scoprire.


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