Storia di una civiltà in mille e una realissime fiabe
Stando al mio storico su Goodreads, ho cominciato a leggere l’edizione integrale della Einaudi de “Le Mille e Una Notte” il 25 maggio 2016. E l’ho finita il 3 febbraio 2017. Si può ben dire che queste mille e una fiaba mi abbiano accompagnato per parecchie notti: è stata una lettura a volte complicata, persino estenuante – sull’e-reader non ho il conto delle pagine ma il volume cartaceo di questa edizione integrale, ottimamente curata, ne conta 2588 – in certi punti ripetitiva, perché il materiale è vastissimo ma i temi si ritrovano con impressionante frequenza. Come tutte le letture intense e piacevoli, però, quando è terminata mi ha lasciato vuota.
Approcciarsi a Le Mille e Una Notte con la linearità del lettore che vuole semplicemente dire che Libro A gli è piaciuto tanto o poco per una determinata serie di motivi sarebbe ingenuo e anche un tantino ingiusto. Queste fiabe sono, nel loro complesso storico e culturale, lontanissime da me e dalla mia realtà ma, soprattutto, come tutti i classici, vanno trattate con un occhio di riguardo.
Questa recensione – per motivi di spazio e di capacità personali – sarà comunque stringata e non potrà contenere tutte le riflessioni che pure questa raccolta immensa si sarebbe meritata, pagina per pagina. Non sono un’arabista e non sto scrivendo una monografia su questo compendio narrativo immenso ma “Le Mille e Una Notte” è un classico che andrebbe studiato al pari de “La Divina Commedia”, per il suo valore letterario e per il portato storico e culturale che si porta dietro.
L’edizione del 1948
Va fatto un (positivo) appunto all’edizione che ho tenuto io fra le mani di questo libro: quella presentata da Einaudi non è solo l’edizione integrale de “Le Mille e Una Notte” ma è un’edizione tradotta dai testi arabi originali – a cui attinse anche il suo primo traduttore francese, Antoine Galland, che ebbe il merito di farla conoscere in Occidente nel Settecento – da un team di arabisti diretto da Francesco Gabrieli.
Come se non bastasse un’introduzione già di per sé corposa e storicamente interessante sulle vicende che hanno portato all’accumulo e all’accorpamento di queste mille e una fiabe in una sola, grandiosa raccolta, c’è anche una breve introduzione ad opera di Tahar Ben Jelloun, che ben sa inquadrare il fatto che oltre tutti i limiti storici e culturali che “Le Mille e Una Notte”, come tutte le opere letterarie, si porta dietro – fra misoginia, razzismo, anti-semitismo, legge del taglione e via discorrendo, i social justice warriors di Tumblr e gli anti-islamici nostrani avrebbero di che infervorarsi a caso – dietro c’è qualcosa di universale.
C’è la storia di Shahrazād, che è la storia dell’umanità e del suo inesausto raccontarsi fiabe per superare le notti più cupe. Raccontare per sopravvivere, è questo che deve fare l’astuta figlia del visir, per evitare di incorrere nella sentenza di morte che il suo sultano ha deciso di far pendere su tutte le donne della sua città, solo per rivalersi del tradimento che lui e suo fratello hanno subito dalle precedenti mogli.
La particolarità preziosissima di quest’edizione sta in tanti aspetti. Nel fatto, ad esempio, che ogni fiaba è corredata di note – non eccessivamente abbondanti – che affiorano qui e là dove la traduzione dall’arabo necessita di ulteriori spiegazioni o dove determinate usanze vanno spiegate al lettore moderno. Fa sorridere, dall’altro lato, come un’edizione, tradotta nel 1948 e dalla grammatica impeccabile, conservi lo stile dell’italiano dell’epoca: ho ritrovato molte parole ormai in disuso o utilizzate con significato diverso nel corso della lettura, che mi hanno fatto riprendere in mano il vocabolario solo per riscoprirle. Si va dal “travedere” che sta per “stravedere” al “conquidere” usato in luogo di “conquistare”.
Questa edizione de Le Mille e Una Notte è stata così un doppio viaggio: nei vasti territori sotto il dominio musulmano – dall’Arabia alla Cina – durante il X secolo e nell’italiano del dopoguerra, un italiano diverso, più antiquato e poetico, a tratti sicuramente pomposo, ma che ti fa riscoprire un modo diverso di parlare e scrivere, che non fa poi così male. Anzi.
Shahrazād, narratrice extraordinaire
Bisogna sfatare un mito, prima di tutto. “Le Mille e Una Notte” non sono davvero “mille”: in realtà le storie sono molte di meno ma l’oscuro curatore che le raccolse in un unico volume usò l’espediente di Shahrazād per spaccarle in più punti, cosicché l’abile e immaginifica narratrice potesse tenere l’attenzione del Sultano desta e impedirgli di ucciderla, almeno finché non avesse saputo come la storia andava a finire.
La formula ripetitiva che inframmezza una fiaba con l’altra viene presto omessa – omissione segnalata dai traduttori – e si finisce per immergersi nelle centinaia e centinaia di fiabe che la ragazza continua imperterrita a raccontare ogni notte, finché non le termina e il cuore del Sultano è ormai così intenerito e conquistato che Shahrazād viene graziata e diventa la sua sposa.
Si potrebbero fare molte osservazioni su Le Mille e Una Notte, sulla sua universalità nel raccontare fiabe che, per quanto lontane dal nostro contesto, pure sono comprensibili anche al lettore contemporaneo. Lettore che, dopo un po’, si abitua talmente tanto da entrare nel meccanismo e non farci più troppo caso, alle inevitabili differenze che pure all’inizio lasciano spaesati.
Io voglio solo sottolineare quanto preziosa sia questa raccolta come documento storico. La letteratura è un mezzo potente per catturare lo spirito del tempo in cui quella data opera è stata redatta e, se studiando Leopardi si può afferrare qualcosa della realtà di Recanati del Settecento; se sfogliando il Decamerone si possono trarre considerazioni sugli usi e costumi della Firenze trecentesca; ebbene, questo quasi inesauribile compendio di fiabe medio-orientali è una fonte preziosa sulla vita nei territori di fede musulmana a partire dal X secolo in poi.
Si impara molto su come funzionano le città arroccate in mezzo al deserto, quali siano le professioni più rinomate, in che modo ci si debba approcciare a un Sultano, persino quale sia la formula obbligatoria per cominciare la scrittura di una missiva, per non parlare della considerazione che in genere si ha delle donne – bassissima, purtroppo – e che pure divengono protagoniste di molte fiabe e finiscono per salvare, con quell’astuzia che tanto le rende odiate al genere maschile, mariti e fidanzati dalle trame dell’oscuro mago malvagio di turno.
E poi c’è la poesia, naturalmente. Perché queste fiabe sono un costante miscuglio di prosa e poesia, in uno stile molto lontano da quello a cui siamo abituati nella narrativa moderna. I narratori si prendono spesso tutto il tempo che vogliono per descrivere minuziosamente l’arredamento di una casa o il numero e il tipo di frutti piantato in quel dato giardino, profondendosi in alate metafore che tirano in ballo Allah e i giardini del Paradiso.
Ça va sans dire, si chiamano “fiabe” ma non hanno nulla a che spartire con l’edulcorata versione disneyana: qui c’è spazio per ogni genere di sopruso e di violenza – alcune, più che fiabe, sono veri e propri poemi cavallereschi alla maniera delle opere di Chrétien de Troyes, con elenchi così lunghi di battaglie e morti uccisi a suon di mazzate sul cranio, da far sbadigliare, sì. E c’è il sesso, anche, raccontato con metafore a dir poco esilaranti (non si contano i paragoni con i “cannoni” che abbattono le “fortezze”), perché non c’è aspetto della vita terrena che Le Mille e Una Notte non tocchino, non c’è disgrazia e storia di formazione che si dimentichino di raccontare.
E quindi?
Le Mille e Una Notte non è una lettura facile. Anzi, è quel genere di lettura che va fatta per studio, prima ancora che per piacere personale – e questo non toglie che sia spesso anche una lettura gradevolissima. È un libro che va studiato, in fondo, come andrebbe studiata “La Divina Commedia”, una raccolta meravigliosa e lunghissima che va assimilata a piccoli pezzi, di tanto in tanto lasciata a decantare e poi ripresa.
Forse, sì, si può finire proprio come il Sultano affascinato e conquistato dalle storie di Shahrazād e impiegarci persino tre anni a finirla. È una lettura che, dal mio punto di vista, vale la pena, soprattutto se siete interessati alla storia di un’altra civiltà, a conoscerne i miti, le paure, le usanze, i lati più infimi e quelli più elevati. Bisogna mettere da parte tutto quello che ci hanno insegnato sui libri “come dovrebbero essere”: privi di infodumping e Mary Sue e power up e chi più ne ha, più ne metta.
Ai narratori di queste fiabe poco interessava di conquistare il mercato. Desideravano, piuttosto, raccontare le loro storie e poco importava se il protagonista finisse per avere tutto e subito, grazie a un mero caso del destino, e se lo tenesse puramente ricorrendo la sua astuzia.
Restano storie magiche, da incanto, che hanno la capacità di tenerti incollato alle pagine anche quando si trasformano in interminabili elenchi in prosa rimata.
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