Perché il romanzo di Ito Ogawa è davvero la storia della Locanda Arcobaleno – una locanda dove gli amori diversi non sono solo quelli delle coppie LGBT*QIA. Gli stessi legami affettivi fra parenti, amici, vicini e persino fra avventori e proprietarie della locanda sono vissuti con una diversità che si oppone alla rassegnata uniformità a cui i rapporti codificati, della società giapponese e non solo, ci hanno abituato.
Ci sono film che restano con te per tutta la vita.
Ci sono film che restano con te persino se non li hai mai visti, entrando nella cultura popolare con battute iconiche, scene emblematiche, modi di dire e di fare che finisci per assorbire pure tu – ignaro spettatore bastian contrario, che all’epoca dei fatti ti sei fieramente rifiutato di lasciarti trascinare a fondo (è proprio il caso di dirlo) nel vortice di isteria di massa che ha circondato suddetti film.
Ed è questo il mio caso con Titanic.
Prendete la teoria dell’eterno ritorno, mescolatela con quella degli infiniti universi paralleli, aggiungeteci una generosa spolverata di folklore e vita quotidiana e quello che otterrete è The Tatami Galaxy o, per citare il suo sottotitolo: ‘leggende e miti delle stanze da quattro tatami e mezzo’.
Pubblicato anche in italiano (“Il Drago e la Saetta”), sempre per i tipi della Tunué, in un formato più ridotto, nella sua versione inglese – curata in collaborazione con la Japan Foundation, che si occupa di agevolare la diffusione all’estero di saggi e studi sulla cultura giapponese – The Dragon and the Dazzle si presenta come un lavoro ragionato e molto curato, seppur con limiti segnalati dall’autore stesso, su come la cultura pop giapponese si sia sviluppata a partire dal secondo dopoguerra e su come abbia attraversato diverse fasi, prima di essere completamente accettata nel mondo occidentale.
Se mi avessero detto che la lettura di questo trittico sarebbe stata così emotivamente impegnativa, ci avrei pensato due volte.
In realtà no.
In realtà lo avrei letto lo stesso, anche se ci ho messo mesi a digerire certe parti. Perché, ed entriamo subito nel merito della questione, Irvine Welsh non ti risparmia niente.
Quello che spiazza, quando muore uno come Chester Bennington, non è solo l’età – 41 anni, davvero troppi pochi per morire – ma il modo. Perché sentire che uno dei due lead vocalist dei Linkin Park si è suicidato, con un album in promozione, una carriera avviatissima, una bella moglie, sei figli e una bella casa, fa male.
Qualcosa scricchiola nella terza stagione di Fargo e ho avuto difficoltà a capire cosa, esattamente, anche dato il mio parzialissimo punto di vista da grandissima amante di tutto ciò che riguarda Fargo.
Cerchiamo di capirci: la terza stagione di Fargo resta un buon prodotto, sicuramente sopra la media rispetto a tante altre serie concorrenti, ma – per citare Boris – forse è il caso di fermarsi qui. Noah Hawley adssso ha per le mani anche la gestione di Legion e lui stesso ha detto che non sa se potrà lavorare al materiale ancora disponibile su Fargo, preferendo piuttosto una pausa.
Wonder Woman è un film di supereroi che ha un merito, rispetto a quello che il convento ha passato ultimamente: è una origin story lineare e abbastanza coerente con le sue premesse (ma sono costretta a sottolineare il “abbastanza”), un film con una buona regia, che scorre in maniera piacevole e fresca, non è farraginoso ma nemmeno eccessivamente concitato. È anche un film che non apre troppi fronti e non vagheggia troppo sui massimi sistemi senza possedere la struttura adeguata per filosofeggiare sui temi che tira in ballo.
Se sei (come me) un fan di Twin Peaks dell’ultima ora non puoi capire. Non puoi capire cosa significa dover aspettare la bellezza di ventisei anni per scoprire che fine ha fatto Dale Cooper o se Audrey Horne è sopravvissuta all’esplosione nella banca… ma, soprattutto, per goderti il ritorno di David Lynch con pieni poteri sulla sua creatura – via la ABC, via i produttori ficcanaso e incompetenti, via anche il dovere di ammiccare al pubblico a tutti i costi. Sei il regista di una serie che, volenti o nolenti, ha cambiato il modo stesso di concepire e raccontare le serie TV – dimostrando che anche un prodotto per lo schermo televisivo può essere di buona qualità e andare in profondità nel raccontare il meglio e il peggio dell’animo umano.
L’operazione più difficile da compiere, quando guardi un film e lo devi recensire, è scindere il giudizio personale dello spettatore da quello possibilmente più tecnico e obiettivo del recensore.
È una difficoltà che si è ripresentata tutta dopo aver visto Guardiani della Galassia 2, che ho amato persino più del film precedente, ma che presenta esattamente tutte le pecche che stanno rendendo ogni film del franchise Disney – e in special modo del franchise Disney-Marvel – un prodotto fallato in più punti, per difetti che spesso si ripetono invariati, fotocopie l’uno dell’altro perché “fotocopiati” suonano anche tutti questi film messi in fila.