Viaggio contemporaneo in un monastero degli orrori

Confessione a Tanacu

La trama

Cornici Maricica Irina ha 23 anni quando arriva al monastero di Tanacu, su raccomandazione dell’amica Chița. Lei e suo fratello Vasile potranno trovare un tetto sulla testa, lì, e diventare suora potrebbe essere più conveniente dell’impresa di partire per l’estero – magari per andare in Germania, dove una famiglia potrebbe voler adottare Irina, anche se ha più di vent’anni. Cresciuta fra brefotrofi e abusi, Irina è convinta che potrà trovare più conforto in un monastero, accanto alla sua miglior amica, che nel mondo di fuori. Non si aspetta certamente che la rigida vita monastica possa starle tanto stretta, né che padre Daniel – che gestisce il monastero di Tanacu – possa avere delle idee molto creative sul modo di guarire i “demoni” che arrivano a tormentarla all’improvviso, senza darle un solo attimo di tregua.

Fra ospedali che sembrano prigioni, in cui i medici trascurano i propri pazienti – troppo occupati a gestire il contingente o zavorrati dal peso dei loro personali pregiudizi – e le cerimonie ortodosse che scandiscono ritmicamente il passare del tempo e l’arrivo e la partenza dei pellegrini, Tatiana Niculescu Bran dipinge con rapide e asciutte pennellate un quadro drammatico e realistico, in cui si incrociano le vite differenti ma ugualmente travagliate dei tanti piccoli comprimari che attraversano la vita di Irina. Tutti, a modo loro, lasciano su di lei una traccia.

Tutt’altro che positiva.

Noce critica

Non le disse che la diagnosi che aveva formulato era schizofrenia di tipo disorganizzato e che, in seguito alla terapia, erano intervenute delle complicazioni. Non pensò nemmeno di chiedere dettagli sulla crisi avuta al monastero: che movimenti faceva Irina, che parole aveva pronunciato, che suoni emetteva…

Ad ogni modo, la monaca non avrebbe neanche capito, né l’avrebbe sfiorata il pensiero che le stranezze con le quali era cominciata la crisi di Irina, il 19 aprile (l’agitazione e la violenza fino all’estenuazione, l’imitazione delle mosse altrui, lo scimmiottare, l’emettere versi da maiale, la disidratazione), potevano essere i sintomi di quel che in gergo medico si definisce un disturbo psicotico acuto, dovuto alla paura della punizione divina e alle costrizioni della vita monastica, alla quale non era abituata e che non comprendeva minimamente. Neonila non poteva nemmeno sapere che i farmaci neurolettici avevano svariati effetti collaterali.

Confessione a Tanacu costituisce la versione romanzata di un fatto di cronaca realmente avvenuto nel 2005, proprio a Tanacu. Nel monastero della piccola cittadina romena padre Daniel Petre Corogeanu esegue un esorcismo su una ragazza, con l’aiuto di quattro suore, crocifiggendola – mani e piedi legati a due assi – e cospargendole fronte e polsi di olio sacro, per poi tenerla tre giorni in quello stato.

Le conseguenze di quella prova saranno irreparabili e, in seguito alla denuncia dell’ospedale delle torture subite dalla ragazza e rinvenute sul suo corpo, verrà aperta un’inchiesta che solleverà grande scalpore mediatico in Romania. Tatiana Niculescu Bran, già direttrice del BBC World Service di Bucarest, ha scritto ben due libri ispirati a queste vicende: Confessione a Tanacu e Il libro dei giudici. È da questi libri che Christian Mungiu nel 2012 ha tratto Oltre le colline, film che ha vinto anche il premio per la miglior sceneggiatura non originale a Cannes. È soprattutto anche da questi racconti che si può ricavare uno spaccato di vita doloroso e brutale, su una realtà che per quanto possa sembrare lontana dalla nostra quotidianità, accade nella porzione più orientale della nostra stessa Europa.

Di Confessione a Tanacu va subito detto che, nonostante il taglio quasi giornalistico di quella che vuole essere una narrazione veristica di eventi molto reali, la lettura prende immediatamente: è avvincente, asciutta, crudele ma non morbosa. Il racconto degli abusi, la descrizione delle vite interrotte e spezzate di troppi ragazzini abbandonati a se stessi e cresciuti in istituti malsani e popolati di ceffi sempre pronti ad approfittare di chi non ha la forza né la possibilità di ribellarsi – anche e soprattutto bambini e ragazzini – è efficace, da pugno nello stomaco. Non indulge però mai nel particolare scabroso, nella ricerca di uno stile che possa scioccare oltremisura il lettore, basta già la triste realtà a prostrare e indignare abbastanza le coscienze.

La Bran ha la capacità rara di raffigurare con pochi tratti le abitudini di vita, le debolezze, le manchevolezze, i sogni, le speranze, gli incubi e le malefatte dei personaggi che si susseguono sulla scena e interagiscono con Irina – tutti a livelli diversi corresponsabili di non aver compreso a fondo il suo male e di non averla aiutata, quando ne hanno avuto la possibilità.

È un panorama umano devastante, quello che si dispiega di fronte agli occhi di Irina e di chi legge: racconti di vita che affiorano all’improvviso – come il passato da sportivo di Padre Daniel, che rinuncia all’università e ai suoi sogni per occuparsi di Tanacu e delle suore, che gli sono completamente assoggettate. Padre Daniel, nel 2005, è financo convinto di poter guarire i fedeli posseduti da Satana, seguendo i precetti di padre Cleopa, neanche fosse un moderno taumaturgo.

C’è ignoranza e pregiudizio ed estremismo religioso nel mondo chiuso e asfittico che si dipana fra le colline su cui sorge il monastero e un ospedale popolato di troppi pazienti e troppi pochi medici, che sono o troppo inesperti o troppo condizionati da pregiudizi religiosi per agire tempestivamente.

La Bran sa farti entrare fino in fondo dentro le vite dei protagonisti, nella routine asfittica e soffocante di un monastero che cerca di restare ancorato a delle regole e a una visione del mondo più che datate, semplicemente inaccettabili nell’era contemporanea. Ci sono i riti che scandiscono ciclicamente il passare delle stagioni, ci sono le piccole necessità da sbrigare per impedire alla piccola comunità del monastero di decadere e disperdersi, c’è soprattutto Irina, che fa capolino attraverso la sua passione per il karate, la voglia di ritornare alla libertà che rappresenta per lei la Germania, le repressioni che si impone e che le impone la religione – perché ama le donne, i film occidentali, certe canzoni che devono per forza essere espressione del demonio, come Sadness degli Enigma.

In sole 186 pagine Confessione a Tanacu non racconta solo una storia vera ma apre di fronte allo sguardo del lettore ignaro uno spaccato di vita attraverso cui si intravede una situazione ancora più complessa e drammatica, in uno di quei contesti troppo spesso tralasciati e dimenticati dalla cronaca contemporanea. La storia della Bran non ha solo un indubbio valore letterario – la lettura è stata così rapida che in tre giorni personalmente molto affollati sono rimasta inchiodata alle pagine del libro e l’ho finito in un soffio – ma ha anche un valore sociale e politico molto importante.

Sono storie scomode e difficili, queste, ma sono storie che vanno lette, per comprendere meglio quanto sfaccettato e a volte davvero crudele possa essere un universo non troppo lontano dalla nostra civiltà da Primo Mondo. Soprattutto per non dimenticare le persone come Irina, abbandonate e neglette fin troppo in vita.

Una lettura sicuramente consigliata.


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