Margot Robbie val bene otto euro di biglietto
Li avete visti i trailer su YouTube, no? Io ho capito che avrei visto Suicide Squad quando la Warner ha diffuso a tradimento un trailer con Bohemian Rhapsody in sottofondo. E come fai a non andare a vedere un film che ha una canzone del genere nella colonna sonora?!
Poi ho scoperto che c’era Viola Davis a fare la donna “tosta-e-bastarda” di turno, che c’era Margot Robbie che faceva Harley Quinn, che c’era Will Smith a fare Deadshot, Jared Leto che interpretava il Joker più pappone di sempre (e che agonia tutti i Ledger!fag che hanno rivoltato il web in questi mesi) e, insomma, ero già lì a urlare al capolavoro.
Poi sono entrata in sala e…
Ma non precorriamo i tempi e andiamo per ordine!
La trama in breve
Come fai a parlare di una cosa che non esiste?
No, perché giuro che io dal trailer e dalle sinossi pre-film avevo capito tutt’altro e questo già fa intendere che il regista e sceneggiatore (David Ayer) non avesse le idee tanto chiare.
In teoria la Suicide Squad dovrebbe essere un manipolo di intriganti bastardi, assassini, gente dalle capacità particolari ma dalla fedina penale più sporca di quella di Silvio Berlusconi, che viene costretta controvoglia a salvare il mondo in situazioni che neanche l’esercito americano può gestire.
Come dice l’Amanda Waller di Viola Davis all’inizio del film, morto Superman, il prossimo metaumano potrebbe non essere altrettanto buono con gli esseri umani; ergo urge creare una task force d’emergenza – suicida, perché potrebbe anche non tornare dalle missioni a lei affidate – per salvaguardare il Paese.
Dunque i nostri anti-eroi dovrebbero affrontare la minaccia corrente, che è quella dell’Incantatrice che ha posseduto la persona di June Moon e ha risvegliato suo fratello, con l’obiettivo molto originale di dominare il mondo, sfuggendo al controllo di Amanda, che possiede il cuore della strega (in senso letterale ma non figurato, niente sottotrama lesbo, sadly). A guidare e controllare la squadra sarà l’integerrimo (LOL) Rick Flag, innamoratosi di June Moon e deciso a salvarla.
Trama classica, in fondo, ma ci si aspetta che sia la natura particolare dei protagonisti del film a dare una svolta diversa alla faccenda. Sono costretti ad agire con un microesplosivo impiantato nel collo che può far saltare loro la testa in aria se si ribellano: si ribelleranno sicuramente e magari salveranno pure il mondo, sì, ma per loro interesse personale, com’è giusto che sia.
Dimenticate tutto. Dopo una mezz’ora introduttiva che non è trama, è infodumping patinato e da videoclip in cui Amanda Waller ci racconta letteralmente vita, morte e miracoli di tutti i personaggi – anche dettagli insignificanti o, più in generale, fatti che in una sceneggiatura ben costruita sarebbero stati disseminati qui e là come flashback e simili durante lo svolgersi dell’azione – tutto quello che accade sopravvive in una nebbia confusa in cui non c’è ordine temporale, i passaggi da una scena all’altra sono più che semplicemente bruschi e i personaggi fanno cose di cui non si capisce il senso. Perché vanno fino a Midway, se poi il loro obiettivo non è fermare l’Incantatrice ma salvare Amanda? Perché questo dettaglio non viene spiegato da subito? E perché l’Incantatrice e suo fratello sono l’ennesima personificazione delle divinità pagane di qualche sconosciuta civiltà non occidentale, che si mettono in pose plastiche come neanche un personaggio di Jojo, fanno la voce grossa e agitano le mani a caso? Perché a un certo punto del film, un ladro assassino, un cecchino mercenario, una bellissima psicopatica criminale, un uomo coccodrillo che sventra la gente e un piromane che letteralmente prende fuoco quando si incazza, diventano degli incompresi che vogliono solo essere capiti dal mondo?
Credo di aver fatto un triplo salto carpiato quando Deadshot ha osato dire: «Voglio che mia figlia sappia che non sono un pezzo di merda». Dude. Uccidi le persone per soldi. Capisco che il mercato lavorativo sia in crisi ma non prendiamoci in giro. Sono cadute di stile come queste che distruggono le potenzialità di un film e rivelano un lavoro titubante, fatto a metà, perché andare fino in fondo e scavare nella follia, più o meno lucida, dei singoli personaggi ne avrebbe rivelato i punti forti ma anche le terribili miserie.
È questo il punto debole di Suicide Squad, il peccato originale di David Ayer. Non solo non c’è trama ma quella poca che c’è, impastata con dialoghi che hanno ben poco senso logico, spesso e volentieri, è confusa. C’è stata una grande polemica sul rapporto fra Joker e Harley – definito come sessista – ma in fondo era solo confuso. Il regista ha voluto fare un po’ di tutto, una coppia alla Bonnie&Clyde ma anche echeggiante del rapporto problematico che i due vivono nei fumetti. Di certo c’è che perlomeno Harley impazziva d’amore per uno psicopatico che, nel suo modo molto malato, la ricambiava e soprattutto Ayer ha avuto il buon gusto di non rotolarsi in una descrizione superficiale e affrettata di una relazione complessa e abusiva che in un film, che si annunciava come quasi rivoluzionario e si è rivelato di poche pretese, avrebbe stonato moltissimo.
In ogni caso io non ho una trama di cui parlarvi. Non c’era e se la caratterizzazione per alcuni personaggi è stata efficace – Harley è il personaggio scritto meglio, probabilmente aveva uno sceneggiatore totalmente a parte dedicato solo a lei – per altri consisteva in un cumulo di stereotipi a dir poco offensivi.
Videoclip o confuso guazzabuglio medievale?
Suicide Squad, dunque, ha un sacco di difetti e l’abbiamo capito: è un film confuso, poco coraggioso, privo di una vera sceneggiatura, gonfio di stereotipi (a cominciare da Katana, che più stereotipo della giapponese vendicativa di così si muore; per continuare con l’Incantatrice e suo fratello, parodia di idoli pagani, probabilmente di origine amerinda o giù di lì, che sono cattivi in quanto “pagani e antichi”, mica per chissà quale motivo speciale), però è divertente.
Mi rendo conto che sembri un ossimoro ma se non si fa caso alla sceneggiatura – basta spegnere il cervello per la durata delle due ore del film – e al fatto che da trailer e interviste Ayer si era già venduto questo film come rivoluzionario nel mondo del cinema sui supereroi, la visione è davvero piacevole. Gli effetti speciali sono potenti, le coreografie di battaglia ben studiate, le musiche sono più che semplicemente eccellenti, la fotografia rende il tutto esteticamente gradevole e c’è un parterre di attori bravi e che recitano davvero (non come Chris Evans, che ha girato l’ultimo stand alone su Cap con la faccia di uno che avrebbe preferito andare a spalare letame, piuttosto che trovarsi lì). Viola Davis si conferma decisamente superba nelle parti della donna di potere crudele e senza scrupoli, sul Joker di Jared Leto – che ha lo stile di un pappone invidiato persino da Doflamingo – si sono scagliati in tanti ma la performance era terrificante nel senso migliore del termine, Will Smith è grandioso, nonostante il suo personaggio ricada in certe ingenuità buoniste che gli sceneggiatori potevano risparmiarsi.
E poi c’è Margot Robbie. Ecco, sì, Suicide Squad ha involontariamente segnato una svolta nel cinema di supereroi e non nel senso creduto da Ayer. Non siamo ai livelli di scorrettezza e scene forti che avevamo visto in Deadpool – va a quest’eroe il merito di aver sdoganato il rating R anche per i film di supereroi – ma se un pregio su tutti questo film l’ha avuto è stato dimostrare che i personaggi femminili possono spiccare quanto quelli maschili nel cast e, per di più, possono prendere altrettanto piede nella cultura popolare e finire persino per riscattare un film che di punti deboli ne ha tantissimi.
Né Amanda Waller, né Katana con tutti i suoi stereotipi, né l’Incantatrice e tantomeno Harley Quinn appaiono nella storia perché sono le fidanzate, madri, mogli o sorelle di qualcuno. È piuttosto vero il contrario: il Joker viene tirato in causa perché è il fidanzato – pazzo e psicopatico – di Harley; Rick si muove ed è motivato dai sentimenti che nutre per June Moon, la donna che “ospita” l’Incantatrice; è l’Incantatrice a richiamare suo fratello nel mondo presente e non il contrario; e, beh, Amanda è una specie di squalo che dà punti a parecchi generali dell’esercito.
Dicevamo di Margot Robbie. La sua Harley Quinn è la cosa più deliziosamente folle, senza freni e affascinante di tutta Suicide Squad. Ci sarebbero tanti plausi da farle, a cominciare dal fatto che l’attrice si è allenata per un anno per apprendere al meglio le evoluzioni da ginnasta di Harley e ha girato le scene di combattimento senza stuntman: basta pensare alla sequenza dell’ascensore, in cui i calci, i pugni e la corsa a 360° contro il tetto della cabina sono tutta farina del sacco di Margot. E se l’interprete è più che di livello, il suo personaggio non è stato mistificato, nonostante sarebbe stato facilissimo farla passare per una bellona senza cervello, il cui unico scopo era ammiccare al pubblico maschile con i suoi pantaloncini troppo corti (un po’ come Vedova Nera, che è diventata la quota “tutina aderente” di qualsiasi film Marvel in cui appaia). Harley è folle, letale, si diverte a terrorizzare i suoi interlocutori appellandosi alle “voci nella sua testa”, si comporta da bambina capricciosa ma ha uno sguardo molto lucido sulla sua condizione di persona “anormale” e tutt’altro che sana.
E poi le musiche. Questo film vanta nella sua colonna sonora cosine del calibro di Fortunate Son, Bohemian Rhapsody, Sympathy for the Devil, the House of the Rising Sun e potrei continuare ancora all’infinito. Per questo, nonostante i buchi di trama e le motivazioni carenti per molti dei personaggi coinvolti, dal lato visivo, musicale e dell’intrattenimento più superficiale Suicide Squad si rivela un blockbuster che intrattiene senza reggersi su nient’altro che l’abilità degli interpreti, gli effetti speciali, la musica e una protagonista principale che se ne frega di tutte le buone maniere delle eroine abbottonate che sullo schermo, al più, hanno il compito di fare da madri e ziette per i vari supereroi incompresi e squilibrati che si impegnano in astruse lotte di condominio.
Con buona pace di quelli che, nel 2016, sono ancora convinti che gli stand alone sulle supereroine non porterebbero pubblico al cinema.
E quindi?
E quindi io vorrei chiedere a Hollywood: è possibile tirare su un buon film d’azione senza ficcarci dentro una morale d’accatto e provare a indottrinare il pubblico? Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca, se fai un super-fumettone da schermo su un gruppo di supereroi/supercattivi qualcosa devi sacrificare ma bisognerebbe finalmente cominciare a partire da trame basiche e sensate.
Quest’anno è stato a dir poco deleterio per gli adattamenti dei fumetti supereroici americani: se si esclude Deadpool, su cui nessuno tranne il buon Ryan Reynolds aveva puntato, non ce n’è stato nessuno presentato al cinema che non abbia avuto buchi di trama o pecche evidenti nella caratterizzazione o addirittura non abbia rappresentato un passo indietro rispetto ai capitoli precedenti della saga. Batman v Superman era ambizioso ma ha avuto cedimenti strutturali, qui e là, che sono anche colpa della gestione registica di Zack Snyder; X-Men: Apocalisse non era assolutamente all’altezza di Giorni di un futuro passato e Civil War era così raffazzonato e mal recitato da farmi vergognare di aver pagato otto euro per vederlo.
Sono solo film di supereroi, è vero, ma sono tratti da storie fumettistiche che avevano ben altro spessore e qualità; sono film che movimentano risorse consistenti e se spendi 175 milioni di dollari per riunire un cast come quello di Suicide Squad e poi risparmi proprio su trama e sceneggiatura, fai un cattivo servizio al tuo pubblico e a chi fa lo scrittore di professione. Soprattutto: un film può essere d’azione, leggero, non impegnativo e rivelarsi comunque un buon film, un film curato e fatto bene nella sua semplicità.
Non si può sempre navigare a vista e confidare nel fatto che il pubblico casuale, quello che va al cinema una tantum, si berrà qualsiasi cosa e porterà comunque ricavi consistenti alla casa cinematografica produttrice e distributrice. Se Suicide Squad una pessima tendenza l’ha confermata, è stata proprio quella della sciatteria dal punto di vista della sceneggiatura, come se le storie non fossero più il soggetto principale e l’unico particolare importante fosse vendere sempre lo stesso prodotto, con minime variazioni di tema giusto per dare l’impressione di star vedendo davvero un film diverso.
Se qualcosa di buono l’ha dimostrato, invece, è che nonostante tutto dei personaggi ben pensati e degli attori bravi, insieme a tutto l’impianto apparentemente accessorio di musica e fotografia, possono rendere un film piacevole nonostante tutto. Ecco, se avete voglia di lasciarvi trascinare dalle botte da orbi, dalle belle musiche, dagli scenari cupi e dall’Harley Quinn di Margot Robbie – che ripaga tutti gli otto euro del biglietto – allora Suicide Squad fa per voi.
Per una storia coerente, purtroppo, ci sarà da aspettare ancora un po’.
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