Cosa c’entrano l’epica e il mito con i supereroi americani?
Qualche tempo fa ho recensito, sempre per questo blog, un altro libro della collana “Lapilli”, che la Tunuè sta portando avanti e nel cui ambito si trovano un sacco di saggi interessanti a proposito del fumetto – non solo occidentale.
Riprendendo in mano un pezzo della bibliografia che ho usato per la mia tesi, mi sono trovata a rileggere “Il fumetto supereroico” di Marco Arnaudo, e non ho potuto fare a meno di notare che questo saggio breve (sono più o meno 181 pagine di libro) meritava la recensione, anche se per motivi contrastanti e solo in parte positivi.
È stata una lettura rapida, perché lo stile del saggio era fluente e per nulla pesante, ma sono sorte parecchie perplessità sulle conclusioni che l’autore tirava al termine di ogni ragionamento. Ma andiamo a vedere più nel dettaglio l’argomento del saggio.
L’argomento
Come da titolo, “Il fumetto supereroico” è un saggio che analizza il fumetto americano mainstream a tema supereroico prodotto dalla DC Comics e dalla Marvel e in special modo le testate e i supereroi di maggior successo popolare – ovvero, fra gli altri, Superman, Batman e Wonder Woman da un lato; Capitan America, Spiderman e gli X-Men dall’altro.
Suddiviso in tre aree tematiche, il saggio affronta l’analisi di questi fumetti da tre prospettive differenti:
- Mettendo in connessione il fumetto supereroico con l’impianto del mito pagano e analizzando le influenze delle religioni di maggior peso in ambito statunitense (ovvero quella ebraica e cristiana) su quest’ultimo;
- Parlando dell’etica del fumetto supereroico e di come su di essa pesi non solo la storia del fumetto negli Stati Uniti ma più in generale la cultura e la società americana e i travagli storici e militari che il Paese ha attraversato negli ultimi settant’anni;
- Infine connettendo il fumetto supereroico all’epica e a quella corrente artistica definita “Neobarocco”, applicata al mondo della letteratura e soprattutto alla tendenza del fumetto seriale di innestare citazioni e rimandi continui all’interno delle sue storie.
Gli spunti di riflessione sono tanti ma soprattutto l’approccio è originale e fresco, contando che l’autore non si lascia condizionare dal pregiudizio – ancora troppo diffuso – che il fumetto seriale resti parte di una cultura “bassa”, che poco o nulla ha a che spartire con la cultura “alta” delle graphic novel super-sperimentali o di grande impegno sociale.
Arnaudo è preparato, coglie bene molte delle influenze della cultura americana su quello che è un fenomeno tutto peculiare degli Stati Uniti – ovvero di una serialità che ha fatto di determinati personaggi del fumetto vere e proprie icone, non più semplicemente personaggi letterari ma simboli potenti, investiti di determinate caratteristiche “fisse”, pur nell’estremo trasformismo a cui sono sottoposti i supereroi di testate che continuano a re-inventarsi da così tanti decenni, che ne fanno quasi le divinità di un nuovo e molto moderno pantheon religioso.
Un altro aspetto che l’autore mette in rilievo molto bene è quanto stretta sia la connessione fra questa “epica contemporanea” e il panorama di riferimento, che è sempre quello del presente dei suoi lettori, tanto stretta non solo da giustificare il paradosso per cui i supereroi non possono – con i loro poteri – risolvere tutti i problemi del mondo (o creerebbero un universo idilliaco in cui la loro presenza non avrebbe più senso e il loro contesto di riferimento diventerebbe una realtà alternativa rispetto a quella in cui vive chi legge) ma anche l’evoluzione nell’atteggiamento che i supereroi hanno verso la loro missione, nella composizione dei loro gruppi, nel loro modo di porsi verso il combattimento e l’annosa questione del risparmiare oppure uccidere i loro avversari.
Dal saggio risalta così con molta efficacia come il fumetto supereroico sia frutto pieno e maturo della società americana, delle vicissitudini che l’attraversano, delle idee di cui sono informati sceneggiatori, disegnatori e case editrici stesse. La connessione è ben stabilita e chi scrive conosce bene sia il mondo fumettistico di cui parla sia l’ambito sociale che vi soggiace.
Le perplessità nascono dopo, ovvero nel momento in cui Arnaudo dovrebbe tirare le somme.
Valorizzazione del fumetto supereroico o sua glorificazione?
Ciò che lascia perplessi è come l’impianto analitico del libro venga continuamente sovvertito dalle frequenti intrusioni di Arnaudo, che pur sottolineando nell’introduzione – e giustamente – come la sua analisi si riferisca solo a una parte del fumetto supereroico e pure sia influenzata, nelle scelte su quali episodi illustrare, dai suoi gusti personali, finisce per dare costantemente giudizi di merito su questa o quella caratteristica del fumetto americano di supereroi.
Nulla di più sbagliato.
Che i valori di chi scrive incidano nella sua ricerca è un fatto, l’abilità dovrebbe stare nel cercare comunque di mantenersene il più distaccati possibile, nel mostrare i pro ma pure i contro, mentre l’autore non si fa scrupolo di prendere ogni critica negativa che viene avanzata al fumetto americano e rivestire la poco simpatica parte di avvocato del diavolo.
È così che dal rischio di appiattire il fumetto sullo stereotipo di puro intrattenimento stupido per la massa, si scade nel pericolo opposto, generalizzando al rialzo e definendo il fumetto mainstream di supereroi come vero capolavoro, frutto delle istanze ideologiche più alte e pure della cultura americana.
Le analisi di Arnaudo partono così da basi concrete e condivisibili e si distorcono in giudizi di merito e, quel che è peggio, inquinano anche le loro premesse. Sembra sempre che l’autore stia ingaggiando una polemica contro chi svalorizza il fumetto a prescindere ed esasperi le sue posizioni, fino ad arrivare a esclamare alla fine del libro che il fumetto supereroico è in toto superiore al cinema blockbuster che dal fumetto trae alcune delle sue sceneggiature e ai libri di genere thriller.
Il saggio diventa una vera e propria apologia del fumetto supereroico e lì dove prometteva di non appiattirsi nella generalizzazione di un corpus immenso e contraddittorio per sua stessa natura, finisce per travisare le sue considerazioni e usare qualsiasi dato di un’analisi che pure resta peculiare per portare acqua al proprio mulino e dimostrare come il fumetto supereroico sia non solo il degno successore dell’epica nel mondo contemporaneo ma un universo in grado non di indottrinare le masse ma di educarle sempre e comunque nel modo giusto, instillando il dubbio nel lettore in ogni caso – anche quando l’espediente narrativo la fa da padrone su qualsiasi giustificazione ideologica – forzando le motivazioni culturali e sociali dietro le semplici scelte editoriali, per nobilitare un genere che comunque risente di logiche economiche nella sua strutturazione.
È un peccato, perché questo eccesso di trionfalismo nel voler leggere il fumetto supereroico contemporaneo come l’espressione più nobile dei valori positivi della cultura americana e solo di quelli, rende il saggio ingenuo e forse il prodotto di un fan più che di uno studio ragionato che pure non manca. È l’esasperazione dei toni che stupisce, il voler conferire per forza un aspetto positivo – ad esempio – alla regola principe del genere supereroistico americano: non uccidere. Si finisce così non solo per affermare che questa regola sia giusta, perché sposta il supereroe dal regno dei personaggi umani a quello dei personaggi semi-divini, appiattendolo a modello ideale che rende difficile l’immedesimazione del lettore e, contemporaneamente, che si fa carico di “educarlo” (un vizio molto comune a tanta parte della produzione artistica americana). Non solo l’autore mette in contrasto questa concezione del supereroe con quella filmica, decidendo arbitrariamente che il supereroe che non uccide è a priori superiore e più profondo (in base a una scala di valutazione molto personalistica).
Finisce anche per cadere in contraddizione, quando un attimo prima afferma che proprio la capacità di non uccidere il proprio nemico cri una netta cesura fra supereroi e super-cattivi, fra idea del Bene e idea del Male; e alcune pagine dopo si ritrova a esaltare la poliedricità del fumetto supereroico americano, dove la divisione fra Bene e Male è sfumata e i personaggi sono molto sfaccettati. Il saggio stesso finisce per diventare persino una celebrazione dell’american way of life e deraglia da quello che dovrebbe essere il suo scopo iniziale, finendo per confondere e anche indispettire il lettore, che si avvicina al libro a scopo conoscitivo, non come fan che desidera sentirsi dire che le sue letture preferite sono bellissime.
E quindi?
E quindi “Il fumetto supereroico” va preso cum grano salis. Ha degli spunti molto interessanti e originali e le premesse ispirano alla ricerca in questo campo. Finché non sfocia nell’esaltazione esasperata, è una lettura piacevole e fitta di rimandi – bibliografici e sociali e culturali in generale – che apre nuovi scorci nello studio del fumetto supereroico e dà maggiore consapevolezza anche a chi si è già avvicinato ai fumetti Marvel e Dc Comics come fan e può rinvenire livelli ulteriori nel corso della lettura.
Ciò che guasta la lettura è il giudizio di valore sui contenuti, un approccio completamente sbagliato per quello che dovrebbe essere uno studio analitico sulle influenze ideologiche, religiose, sociali e politiche su fumetto supereroico e sulle sue strategie narrative; quella che dovrebbe essere una comparazione letteraria fra generi e istanze di epoche e di ambiti differenti, finisce per diventare un’occasione di celebrare il fumetto americano di supereroi e di sottolinearne la sua superiorità – in maniera superficiale e con confronti approssimativi – con altre forme artistiche e altri ambiti.
È un peccato, perché questo saggio merita davvero la lettura, nonostante tutto.
Da prendere con le pinze.
Correlati
Scopri di più da The Flamingo Strikes Back
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.