Di mondi meravigliosi celati sotto il tessuto fragile della realtà
Ah, Gaiman.
Quanto sei bello e quant’è bello questo libro…
Non ho neanche cominciato e sto già seminando lodi sperticate per questo libro ma è Gaiman, non potete aspettarvi niente di meno dalla sottoscritta. Non è neanche questione di essere obiettivi, che Neil Gaiman sia uno dei migliori scrittori contemporanei in circolazione è un fatto ma consola scoprire che ogni suo romanzo è sempre all’altezza della sua fama.
In questo caso, “L’oceano in fondo al sentiero” è stato un graditissimo regalo di Natale di una mia amica – arrivato a Febbraio perché le Poste Italiane fanno schifo – che ho divorato in appena due giorni e questo già preannuncia della scorrevolezza di un romanzo breve (parliamo di 187 pagine, suppergiù) che mi ha catturato fin dalla prima riga del prologo e non mi ha permesso di abbassare l’attenzione fino all’ultima riga dell’epilogo.
E andiamo a recensire!
[ATTENZIONE, FORSE SPOILER, O FORSE NO, IL RISCHIO C’È]
La trama in breve
“L’oceano in fondo al sentiero” è il racconto in prima persona delle memorie infantili di uno sconosciuto uomo di mezz’età e precisamente di un brevissimo periodo durante le vacanze primaverili dei suoi sette anni, in cui incontra una ragazzina undicenne dai corti capelli rossi, Lettie Hempstock, e insieme a lei viene coinvolto in un difficile affare di esseri da altri mondi e problemi che riguardano il tessuto stesso della realtà.
Il protagonista è sempre stato un bambino introverso e studioso, perseguitato dai bulli a scuola e da una sorella prepotente in casa, con una madre distante e un padre che non riesce a stabilire un contatto con lui – forse deluso da non poter svolgere con lui le tipiche attività sportive che un padre vorrebbe fare con il figlio maschio. A tutto questo fanno da sfondo due eventi che contemporaneamente cominciano a strappare il protagonista dall’innocenza dell’infanzia: i problemi economici della sua famiglia, che lo allontanano dalla sua adorata stanza da letto, e la morte per suicidio di un affittuario della loro villa, che innesca il corso di eventi che lo porterà a vivere un’avventura dai tratti a dir poco horror.
In tutto questo si inserisce la presenza misteriosa di tre sagge donne che abitano, appunto, la casetta alla fine del sentiero che passa davanti alla sua casa, le Hempstock, di cui Lettie è la rappresentante più giovane e la sua compagna di avventure, mentre sua madre Ginnie, tutta curve morbide e consigli, sembra essere il prototipo stesso dell’idea di mamma, dai cui abbracci farsi rassicurare. E poi c’è Mrs Hempstock Vecchia, l’anziana matriarca che ricorda addirittura il mondo da cui provenivano, ben prima che il Big Bang generasse il nostro universo.
E qualcuno potrebbe pensare che vaneggino ma è qualcuno che non si è tuffato con Lettie nello stagno delle terre degli Hempstock.
Che poi non è uno stagno ma un oceano e non è un dettaglio da poco.
Una primavera incantata fra campi incolti e tutrici arpie
Gaiman è uno scrittore meraviglioso, uno di quelli che scrive i racconti fantastici e l’urban fantasy con quel tocco di poesia che li fanno sembrare storie di altri tempi, scritte però sempre con una sensibilità molto moderna.
“L’oceano in fondo al sentiero” mi ha ricordato così, lontanamente – forse per le ambientazione, forse perché il protagonista è un bambino – “L’estate incantata” di Ray Bradbury, i suoi paesaggi solitari, i piccoli misteri apparentemente inspiegabili dalla logica degli adulti, una magia che può avvertirsi solo guardando la realtà in filigrana.
Certo, qui ci sono le tre Hempstock, che un po’ ricordano le Parche, forse lo sono, forse no, sicuramente sanno del mondo in cui viviamo e dell’universo molte cose, anzi, tutto. E Gaiman è bravissimo a svelare cose e nasconderne altre, a suscitare alternativamente il terrore e la curiosità del lettore già adulto, senza dare nomi ad avversari e potenze primordiali che si agitano e si combattono, davanti allo sguardo smarrito e incuriosito di un bimbo di sette anni che diventa protagonista di quelle stesse storie, che fino a qualche giorno prima erano confinate ai suoi libri preferiti.
Alla fine del libro il protagonista afferma che una storia vale la pena di essere raccontata – vale la pena di essere considerata tale – solo se i protagonisti cambiano alla fine delle vicende e lui, bambino ingenuo di sette anni, non aveva subito chissà quale cambiamento, tanto più che non gli è dato ricordare ogni cosa, vista la delicatezza degli intrecci in cui è rimasto coinvolto suo malgrado.
Si sbaglia, con tutta probabilità, perché Lettie è irrimediabilmente cambiata, dopo quell’avventura, ha perso qualcosa e non ci è dato sapere quanto sarà diversa, quando si sveglierà. E lui stesso ha perso e guadagnato qualcos’altro da quella disavventura, forse una melanconia che non potrà mai veramente colmare e la sensazione di sentirsi sempre un po’ fuori posto, lui che qualcosa da quegli esseri sovrannaturali – di cui mai è davvero specificata la natura – ha ricevuto.
E poi è bello perdersi in una storia che è prima di tutto un’avventura alla scoperta del mondo complicatissimo che sta dietro la realtà a cui siamo abituati, una storia che non deve per forza raccontare di crescite edificanti ma di cambiamenti sì, nella percezione del mondo e di se stessi, e che semplicemente porta per mano in un sottobosco fantastico dove non tutto può essere spiegato, e certe cose fanno più paura a un adulto che a un bambino.
E quindi?
E quindi Gaiman è meraviglioso e questo romanzo una piccola perla di poesia e mondi fantastici dallo stile fluido, ricco di immagini e sensazioni, un piacere a leggersi e a ruminarsi dopo, quando volti l’ultima pagina e rifletti su quello che hai appena letto.
Potrei dire che è un “romanzo senza pretese” ma non nel senso negativo del termine di storia poco curata, anzi. Quello che va sottolineato è stato sottolineato, i protagonisti sono ben delineati e tutti i comprimari vengono definiti a pennellate grosse e rapide, come in un gigantesco quadro impressionista.
Ma è un romanzo dagli orizzonti semplici, pur tracciando – quasi di sfuggita – un’intera cosmogonia e dando il senso all’esistenza stessa delle cose nella sua dimensione. Un romanzo che racconta una piccola avventura di un piccolo bambino, solitario e fantasioso, che non ha salvato il mondo perché era un prescelto, ma nel suo piccolo (tanto per ripetere quest’aggettivo) ha contribuito all’equilibrio delle cose, prima seminando un inevitabile scompiglio e poi provando a rimetterle al loro posto.
“L’oceano in fondo al sentiero” è così un’immersione progressiva ma inesorabile in uno stagno di cui non si arriva mai a toccare il fondo, in cui non si annaspa mai ma che si finisce per esplorare spingendosi sempre più in là, finché non è più la circoscritta pozza d’acqua dietro una casetta diroccata ma un oceano vero e proprio, in cui ci sta comodamente l’universo intero.
È una lettura bellissima, adatta a chiunque ami i racconti fantastici e perdersi nella narrazione senza farsi più domande del necessario. E, sì, è narrato in una prima persona squisita, nel modo in cui un POV in prima persona dovrebbe essere narrato, senza fronzoli, divagazioni inutili, distanze eccessive ma nemmeno dee interiori.
Stra-consigliato.
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