tfw entri al cinema per vedere “The Martian” ma hanno cambiato l’orario e per non sprecare un viaggio in bus anticipi tutto e ti guardi “Maze Runner 2” una settimana prima.
No, allora, chiariamoci. Io “Maze Runner – La fuga” volevo andare a vederlo comunque, perché avevo seguito il primo episodio della saga l’Ottobre scorso e volevo sapere come andava a finire ma avevo programmato di vederlo questo Lunedì. Invece “The Martian” è slittato alle dieci di sera ovunque (e siamo a Roma, dannazione) quindi dovrò aspettare che lo ripropongano al cinema nelle rassegne a Novembre.
E parliamo di “Maze Runner – La fuga”, dunque. L’anno scorso non avevo ancora cominciato a tenere il blog quindi nessuno dei miei lettori sa che, all’epoca, entrai al cinema con molte remore. Mi sembrava l’ennesimo tentativo di imitazione di “Hunger Games” (potrei fare un trattato su quanto l’editoria e l’industria cinematografica stiano davvero esagerando con lo sfruttamento indiscriminato di un singolo filone letterario finché non è esaurito peggio di una miniera d’oro del Klondike) e l’unica vera discrimine che mi spinse a spendere gli otto euro di biglietto fu il fatto che ci recitava dentro Dylan O’Brien, che io stra-amo dai tempi di “Teen Wolf”.
Alla fine rimasi soddisfatta dal film, perché nonostante la presenza di punti di contatto con i giochi della fame, a cominciare dal fatto che i protagonisti sono adolescenti e i cattivi sono adulti (ebbasta, madonna, anche noi personcine al di sopra dei venticinque possiamo fare molto per questo mondo schifido, perché ci relegate alle storie d’amore melense che usano la fantascienza come scusa per trattare sempre lo stesso cliché del menga?!), che i nostri si trovano intrappolati – in un labirinto, però, dove a lungo vivono come se fosse la loro nuova casa – e che devono sopravvivere fino alla fine della storia. C’è un sistema malato contro cui lottare, lo si intuiva dalle mosse finali del film precedente, un grosso inganno tessuto alle spalle di Thomas e i suoi compagni, che va svelato per capire cosa sta succedendo nel mondo al di fuori del labirinto e cosa ha spinto gli adulti a ficcare tanti poveri ragazzini da soli in un labirinto popolato di chimere mostruose, che manco “Il signore delle mosche” arrivava a tanto.
Penso che la marca più significativa di questa saga fosse – e il secondo film l’ha confermato – il grosso carico di adrenalina che mette addosso allo spettatore. Sia nel primo che nel secondo film quello che Thomas, Minho, Newt, Theresa e gli altri fanno è essenzialmente fuggire, dal mondo intero che pare costruito per congiurare contro di loro e metterli costantemente alla prova. Ero curiosa di capire se il secondo film avrebbe mantenuto il tenore del primo, visto che di motivi per continuare a fuggire i nostri ne avevano eccome.
L’intelligenza della sceneggiatura (e penso anche dei libri da cui i film sono tratti) è stata quella di sfruttare la seconda fuga di Thomas dai loro apparenti salvatori come un’occasione per illustrare i contorni di un mondo esterno che nel primo film sembrava quasi un miraggio. Ci rendiamo così conto che le vicende si svolgono negli Stati Uniti – e quando mai – tanto che i protagonisti si trovano ad attraversare una città in rovina e consumata dal deserto che ricorda molto New York (credo, visto che veniva mostrato un ponte che ricordava quello di Brooklyn). La meta sono le montagne che si intravedono in lontananza, dove dovrebbe nascondersi la resistenza a W.C.K.D., l’organizzazione che ha rinchiuso i ragazzi nel labirinto per testarli, come fossero cavie da laboratorio.
Non sto qui a dirvi cosa succede o non succede nel film. La visione mi ha molto soddisfatta e non sono d’accordo con le critiche che ho trovato in giro. Penso che “Maze Runner – La fuga” mantenga intatto lo spirito del primo film ma innovando, sfruttando la corsa disperata dei protagonisti per fare un po’ di sano world building e farci intravedere gli equilibri che si sono creati al di fuori del labirinto e le circostanze che hanno portato alla sua creazione e alla reclusione di tanti ragazzini al suo interno (a proposito, sì: di labirinto ce n’è più di uno).
Mi è piaciuta l’introduzione dei nuovi personaggi, soprattutto di Jorge e Brenda, così come l’evoluzione di quelli che già conoscevamo (e la morte di qualcuno di loro, purtroppo). Ho amato l’ambientazione distopica e spaventosa che, pur non brillando eccessivamente per originalità, rendeva molto bene l’idea della desolazione in un mondo piagato dalle malattie e dall’inquinamento. Penso che la visione di una New York in completo decadimento, un ammasso di macerie, rottami e spazzatura sia stato uno dei setting più pazzeschi e suggestivi, da questo punto di vista.
Oh, e ho amato Dylan, come sempre. Insomma, se il primo film vi è piaciuto e siete curiosi di sapere come andrà a finire, vi consiglio questo film, che finisce con un cliffhanger quasi più esasperato di quello del film precedente. Per lo meno ora Thomas e i suoi compagni sanno chi è il loro vero avversario, anche se il secondo film ha avuto il pregio di svelarci molto ma non tutto. Sicuramente affronteremo il terzo film pieni di domande e si spera che la conclusione sappia rispondere, se non a tutte, almeno alla maggior parte delle domande e sappia intrattenere senza essere buttata lì, solo perché gli eventi hanno bisogno di raggiungere una loro fine.
Nel frattempo conto di recuperare i libri, che mi dicono essere scritti bene (spero meglio di “Hunger Games”).
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