Hulk_Locandina

Oggi voglio spezzare un’arancia (cit.) in favore di un film che Italia 1 ha passato in tv poco più di un mesetto fa e che io registrai e guardai ma, con la consueta solerzia, mi ricordo di recensire solo ora.

Trattasi di nient’altro che del film su “Hulk” diretto nel 2003 da Ang Lee. All’epoca non lo vidi al cinema – ancora non era diventato per me un appuntamento fisso, quello coi film Marvel – ma so che è opinione comune che “Hulk” sia classificabile come un flop, principalmente perché il CGI era datato e la storia era troppo “cupa” per la media dei film Marvel.

Nonché perché il film non era abbastanza fedele al canone fumettistico.

L’ultima obiezione mi fa molto ridere perché, al di là del fatto che un adattamento si discosta sempre dall’originale nella ragionevole misura in cui deve pur sempre trasporre una storia a fumetti raccontandola con un mezzo differente, la media dei film Marvel col canone fumettistico ci si pulisce il sedere e nel modo peggiore, cioè appiattendo qualsiasi situazione complessa e privando il personaggio protagonista del suo spessore originale (ho ancora le retine piene dello sfacelo che sono stati i due stand-alone su Wolverine).

Anche perché, al netto delle differenze, mi pare che “Hulk” abbia saputo rispettare quello che è il principio cardine del personaggio: il conflitto fra Bruce Banner e l’incontrollabile rabbia che cova dentro di sé, frutto di un rapporto malato con un padre tutt’altro che affettuoso. E Ang Lee lo fa come se gestisse un film d’autore e non un film d’azione, ingranando la quarta sull’introspezione.

Sì, da questo punto di vista “Hulk” potrebbe essere considerabile un flop, perché ignora le regole del genere “fumettone d’azione” per concentrarsi sui sentimenti di Bruce Banner, sul suo rapporto complicato con i suoi affetti (dal padre a Betty Ross), sulla stupidità delle persone che lo circondano e trattano Hulk come un mostro da contenere e sfruttare a fini bellici, lavandosene le mani dei danni che possono causare all’uomo che vive sotto quella pelle verde.

Se vi aspettate effetti speciali da urlo, inseguimenti a rotta di collo, esplosioni fenomenali, botte, azione, adrenalina e zero riflessioni, allora no, “Hulk” non fa per voi e siete liberi di considerarlo un “fallimento” in quanto blockbuster supereroico.

Se ritenete che, ogni tanto, ma anche solo per sbaglio, un film sui supereroi possa occuparsi anche della loro interiorità, indagare gli aspetti più problematici della loro personalità, i loro conflitti – interiori ed esteriori – e il rapporto distorto che finiscono per avere con le persone che li circondano, allora frenate e tornate qui.

Bisogna cominciare dal fatto che, nonostante stimi molto il regista, avessi i miei dubbi su Eric Bana come Bruce Banner. Avevo amato molto Edward Norton nei panni del dottore e di Bana ricordavo soltanto la parte in quel film di dubbio gusto che è “Troy”, uno dei peggiori adattamenti dell’Iliade che abbia mai visto al cinema (e che solo Hollywood poteva inventarsi).

Fortunatamente mi sono dovuta ricredere. Eric Bana nei panni di Bruce mi ha convinta, mi ha convinto la sua recitazione e mi ha convinta la sua resa del personaggio. Il film è particolare, ha un avvio lento e per nulla scoppiettante, va ad affondare nelle “radici genetiche” di Bruce, negli esperimenti che suo padre conduce su se stesso, trasmettendo poi il gene mutato che trasformerà il dottore in Hulk al suo stesso figlio. Ang Lee rivisita sicuramente le origini di Hulk nelle dinamiche ma nei fatti la sostanza resta immutata.

Il rapporto conflittuale che Bruce Banner ha con la “cosa verde” dentro di sé è più che pienamente analizzato nelle due ore di film, sviscerato come non capita mai di vedere negli ultimi blockbuster, troppo occupati a stipare diecimila fili di trama in due ore stentate di girato per accorgersi di aver lasciato buchi grossi come il Gran Canyon (o di aver giustificato un Tony Stark che salta su a inventarsi una super-mente elettronica che controlla tutti i movimenti degli esseri umani in un puro Hydra-style; ma questa è un’altra storia). Non ci sono buonismi in Hulk e meno male. A differenza dei giganteschi flop che sono stati i due Wolverine, qui non ci sono dichiarazioni di supereroismo a caso. Bruce ha problemi gravi con se stesso e con un padre che neanche ci prova a chiedere il suo perdono, assorbito com’è dall’idea di dover portare avanti i propri esperimenti.

Il rapporto con la contro-parte femminile, una volta tanto, è meno infantile della media e sicuramente più approfondito. Chiude il quadro una regia che fa parecchi omaggi al disegno fumettistico, spaccando in momenti chiave lo schermo in inquadrature differenti, “vignette” cinematografiche che sono il corrispettivo di quelle sul foglio bianco.

Di “Hulk” soprattutto mi ha colpito che, a differenza della media dei film Marvel, il primo a venirci presentato è l’antagonista principale (il padre di Bruce) e le sue ragioni, per quanto folli e poco condivisibili, vengono esplorate con dovizia di particolari; così come antagonisti di contorno alla stregua del generale Ross hanno le loro odiose ma motivate ragioni, sono umani pur nel loro lato più meschino, e l’unica vera caricatura del cattivo Marvel tipico è relegata a un altro oppositore di contorno, Glenn Talbot, che è più un mastino agli ordini di Ross che un antagonista indipendente.

“Hulk” di carne a cuocere ne mette poca, si concentra su un solo e semplice problema: come deve fare Bruce Banner a controllare le sue emozioni, ora che quelle gli esplodono fuori nella forma di un gigantesco e inarrestabile mostro verde, col rischio di danneggiare cose e persone indiscriminatamente. È un’esplorazione delle origini di un supereroe controverso, che non si limita a restare in superficie e offrire risposte facili e sbrigative ai mille problemi che Bruce Banner deve affrontare (come invece accade nei due film degli Avengers, che hanno il doppio demerito di mettere in scena troppi personaggi e trattare tutti con troppa superficialità).

Come si sarà capito, io sono rimasta personalmente molto colpita dal film e in positivo. Mi ha saputo trasmettere emozioni palpabili – erano anni che non guardavo un film Marvel riuscendo a immedesimarmi nel protagonista e a provare quel senso di riscatto che ti sale dallo stomaco, quando si ribella a una prepotenza da parte dell’antagonista. Si sente che c’è dietro la regia di un artista non abituato a girare blockbuster fatti solo di effetti speciali e azione. Insomma, lo consiglio sicuramente da recuperare a chi segue la filmografia Marvel e non si accontenta degli adattamenti spesso maldestri che la Casa delle Idee sta offrendo negli ultimi anni.

“Hulk” è sicuramente sui generis, col suo ritmo lento e i suoi toni cupi, ma è un film che certamente lascia qualcosa alla fine della visione. Qualcosa che non è noia o confusione.


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