Chi segue il mio blog ormai l’ha capito che ho una certa predilezione per i blockbuster d’azione (che poi li ritenga filmoni rilassanti ma spesso di bassa qualità, è un’altra storia). Qualcuno scrisse che le donne vanno al cinema a guardare i film d’azione solo per le storie d’amore e per i fighi senza canottiera. Non so di che donne parlasse, perché io vado a vedere i film d’azione fondamentalmente per l’azione, le botte da orbi, gli inseguimenti spettacolari e le esplosioni esagerate.
Ecco, “Mission Impossibile: Rogue Nation” mi ha dato tutto questo e me l’ha dato bene quindi non posso proprio lamentarmi. Più blockbuster d’azione che spy-story (ma gli intrighi internazionali e i tripli giochi carpiati non mancano), il quinto capitolo della saga di “Mission Impossible” non delude.
Sì, gli anni avanzano, sì, Tom Cruise comincia ad averci un’età ma il film risulta in ogni caso godibile e tira fuori due o tre sequenze da “missione impossibile”, appunto, che mantengono alta la tensione e tolgono il fiato – letteralmente, in alcuni casi.
Il primo dato che risalta da questo film è che si rivela godibile anche come stand alone. Per chi, come me, non aveva mai visto prima un film della serie – sì, nonostante il mio amore per i blockbuster esagerati – non c’è stato problema a seguire la vicenda né a capire i rapporti fra i personaggi (a proposito, credo che Simon Pegg nelle vesti di Benji sia diventato il mio personaggio preferito nel giro di mezza apparizione ma non è di questo che siete venuti a leggere quindi torniamo al film).
La trama non è particolarmente intricata – alla fine Ethan Hunt, come sempre, deve salvare il mondo – ma ha il pregio di gettare una luce di sospetto su qualsiasi personaggio non rientri nella squadra di Ethan e di mantenere alta la suspense fino all’ultimo minuto. Il personaggio di Ilsa Faust, la spia dell’MI6 che fa il doppio gioco, si rivela convincente e ben gestito, soprattutto ben versato per il combattimento; così come i personaggi secondari ottengono tutti il loro spazio e non vengono dimenticati a metà della trama come accessori superflui.
A questo proposito, ho recuperato in seguito il terzo e il quarto capitolo della saga e ho trovato le storyline dei personaggi secondari meglio gestite in questo ultimo episodio che in quelli precedenti. Anche l’antagonista, pur non brillando per una caratterizzazione particolarmente originale, ha avuto i suoi spazi e la sua provenienza è stata spiegata in maniera sensata.
Posto dunque che lo scheletro del film si regge decentemente sulle sue due gambe, “Mission Impossible: Rogue Nation” fornisce due ore di intrattenimento adrenalinico e spettacolare a chiunque sia un amante dei film d’azione. L’inseguimento fra le strade di Rabat è esagerato, distruttivo, interminabile, tanto che Tom Cruise ha pure il tempo di cambiare mezzo, e offre quella giusta dose di adrenalina che ci si aspetta da un blockbuster del genere. Particolare è stato il binomio “azione/musica classica”, offerto dalla sequenza che si svolge alla Wiener Staatsoper di Vienna. È sulle note del “Nessun dorma” della Turandot, infatti, che Ethan pedina uno degli agenti del misterioso “Sindacato” che minaccia, ancora una volta, la pace nel mondo. Il crescendo drammatico delle azioni si intreccia a meraviglia con quello delle note, tanto che le variazioni dello spartito dettano persino il momento decisivo dell’operazione terroristica che si snoda fra le quinte del teatro.
Le sequenze di combattimento sono ben orchestrate e c’è spazio perché anche Ilsa Faust, spalla femminile e doppiogiochista di Ethan, possa brillare di luce propria. Come s’è detto più sopra, tutti i personaggi riescono a trovare il loro impiego nella trama, senza diventare improvvisamente inutili e venire accantonati da una scena all’altra.
Non farò qui un discorso su quanto sia longeva o meno la serie. Come ho detto, preferisco trattare questo film come uno stand alone, non avendo mai visto un “Mission Impossible” in vita mia prima di entrare nel cinema. Dopo aver guardato il terzo e il quarto capitolo della saga – a cui mi sono avvicinata anche grazie a “Rogue Nation” – posso però abbozzare una considerazione superficiale sul fatto che a me sembra che la serie sappia continuare a offrire emozioni forti allo spettatore senza doversi troppo sforzare.
E se certi stilemi sicuramente si ripetono invariati e la figura di Ethan Hunt abbia assunto ormai un alone messianico che fa un po’ ridere (sì, i passaggi su Ethan definito come un “uomo del destino” li ho trovati quasi comici, nella loro seriosità esasperata), il parterre di comprimari si rinnova ed evolve di film in film, rivelandosi il lato più fresco e interessante della saga. Loro e le innovazioni tecnologiche, che si fanno specchio della nostra realtà quotidiana e cambiano di pari passo con il procedere dei nuovi episodi della saga: così ormai bastano le dita e un tablet per poter sabotare l’intero circuito di sorveglianza della Wiener Staatsoper e gli smartphone con i loro touchscreen si sprecano.
“Mission Impossibile: Rogue Nation” è uno di quei film con cui passare un tranquillo Sabato pomeriggio o una serata in compagnia, una storia senza altra pretesa che quella di intrattenere in modo coerente e pulito dalla prima all’ultima scena. Se siete fan dei film d’azione e delle spy story e se, soprattutto, avete voglia di un po’ di adrenalina a buon mercato senza troppi drammi collaterali, è un film che consiglio sicuramente. Le mie due ore le ha sapute riempire egregiamente.
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