Questa settimana è arrivato nei cinema il retcon (sì in effetti ci troviamo di fronte a una vera e propria Alternative Timeline) dell’omonima saga degli anni Ottanta. Archiviato il flop di “Terminator Salvation”, ci troviamo di fronte all’ennesimo titolo che sfrutta la nostalgia degli appassionati (adulti all’epoca o affezionatisi grazie a parenti e amici nel corso degli anni) per portare pubblico in sala a colpo sicuro.
[ATTENZIONE: da qui in poi spoiler a manetta, inoltratevi a vostro rischio e pericolo]
Che dobbiamo dire di questo reboot, che prelude a una nuova trilogia? Partiamo dalle cose brutte, così ci togliamo subito i sassolini dalle scarpe. È un blockbuster hollywoodiano, non introduce nulla di nuovo a livello di trama, non ci sono scene memorabili, né diverse tecniche di ripresa o di regia o guizzi di sceneggiatura. Ha tutti i difetti del blockbuster contemporaneo: salva capra e cavoli, sempre e comunque; riduce le morti al minimo. Come tutti i blockbuster di fantasy/fantascienza ricorre all’espediente di introdurre il film al pubblico con una carrellata di una decina di minuti che ci fa il riassunto di tutte le puntate precedenti. È quell’ammasso di “infodumping” che una regia e una sceneggiatura più curate centellinerebbero a poco a poco nel corso della storia, lasciando che siano i personaggi a raccontarsi e raccontarci come siamo arrivati a questo punto.
Alcuni punti di trama sono rimasti volutamente non spiegati e se, in taluni casi, l’oscurità era voluta – visto che ci troviamo di fronte al primo capitolo di una nuova trilogia – in altri non ho ben capito se gli sceneggiatori si siano attorcigliati nei loop spazio-temporali o se sono io che ero troppo occupata a bere Sprite e mi sono persa qualche particolare fra una bollicina e l’altra. E poi, naturalmente, il film è tutto un fiorire di ammiccamenti e omaggi ai primi due titoli della saga.
E quindi, questo film, mi ha fatto schifo?
No.
Nonostante tutte le eccezioni (che però posso porre a un sacco di blockbuster; quest’anno l’unica rivisitazione che mi ha davvero colpito positivamente è stata “Mad Max: Fury Road”) di cui sopra, l’ho trovato un film godibilissimo, che ha tenuto botta per tutti i 120 e passa minuti trascorsi in sala, ha alternato momenti divertenti a scene d’azione abbastanza spettacolari (come quella dello scuolabus sul ponte) e, soprattutto, ha ribaltato molte delle premesse della prima trilogia.
C’è stato un cambio di filosofia alla base dei viaggi nel tempo mostrati nel film (voglio sperare che sia così e non essere io ad eccedere nelle speculazioni). Dalla teoria del tempo che scorre inesorabile in una sola direzione e non può essere cambiato in alcun modo – e quindi anche un viaggiatore dal futuro finirà per influenzare gli eventi in maniera tale che i risultati siano identici, onde evitare i paradossi (ma a questo punto Skynet cosa si ostinava a fare, a mandare gente nel passato?) – si è passati a sposare la teoria delle stringhe, a parlare di creazione di linee temporali alternative nel caso in cui un viaggiatore dal futuro influenzi gli eventi del passato, generando un corso degli eventi totalmente nuovo.
Per quanto non credo che la sceneggiatura sia riuscita a salvarsi del tutto da errori logici, ricorrere alle linee temporali alternative ha permesso in modo intelligente non solo di riavviare tutta la saga ma anche di eliminare quelli che ho sempre trovato gli aspetti più trash del primo film. E per “aspetti” intendo specificamente la storyline di Kyle e Sarah, forse una delle storie d’amore più stucchevoli, inverosimili ed eccessivamente tragiche che abbia mai visto, senza contare gli inquietanti rimandi biblici a una donna predestinata a farsi mettere incinta per partorire il messia. Insomma, la prima Sarah era un’incubatrice, niente di più e niente di meno.
La Sarah di Emilia Clarke, nonostante qualche sprazzo un po’ troppo tsundere (o macho, dipende da quale fandom provenite) qua e là, era adorabilmente tosta. L’idea del suo addestramento (e spero che nei prossimi episodi ci sia una spiegazione convincente su chi abbia mandato il T-800 modificato nel passato per proteggerla e crescerla), il suo rapporto padre-figlia con uno Schwarzenegger che ormai si arrende all’incedere dell’età e perde anche qualche colpo nel confronto con modelli più avanzati di lui, il totale ribaltamento del suo rapporto con Kyle (che ora, più verosimilmente, approda in un’epoca di cui conosce poco e si ritrova assai spaesato dall’essere salvato dalla donna che doveva proteggere), il fatto che il rapporto fra i due non nasca condizionato da un destino che deve realizzarsi, punto e basta, hanno reso le loro dinamiche sinceramente più interessanti.
Ho trovato lodevole non solo la scelta di un nuovo tipo di antagonista (un cyborg risultato dalla fusione fra uomo e Terminator e che è niente di meno che il Salvatore, John Connor) ma quella di cominciare a dare un volto e una struttura a Skynet, questa mente robotica che è lo spauracchio di ormai quattro film della saga ma di cui abbiamo visto in azione null’altro che i suoi robot distruttori. Si spera che nel resto della trilogia abbia un’evoluzione un pizzico più interessante di un robot ammazza-esseri umani a-la Ultron dell’omonimo film.
E poi, le citazioni di cui sopra saranno state anche fan service per nostalgici inconsolabili ma hanno fatto piacere. Ho passato tutta la prima metà del film a riguardare momenti conosciuti rivisitati completamente. Una leggenda che viene abbattuta, insomma, e può essere visto come un bene o come un male, dipende dallo spettatore, dipende da cosa ci si aspetta dal film, da come si considerano gli altri film della saga.
Genisys non è un capolavoro, è una premessa a una trilogia, lascia interrogativi in sospeso, non ha l’impatto che il primo Terminator ebbe al tempo della sua uscita ma è uno di quei film con cui passare piacevolmente il Sabato pomeriggio senza farsi troppi problemi. E se proprio le atmosfere non convincono, tornati a casa si può accendere il computer e cercarsi l’originale.
Io, da parte mia, aspetto il sequel.
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