Quella voglia matta di saltare nello schermo e abbracciare Charlie Brown Io sono sempre stata una grandissima fan dei “Peanuts”. Hanno fatto parte della mia infanzia fianco a fianco con…
“Spectre” è una rivisitazione fighetta e pretenziosa dei primissimi capitoli del franchise di James Bond. Se mi avessero detto che era il remake di “Dottor No” o simili, avrei risposto: «Davvero carino, un esperimento convincente, mi sono molto divertita. La scena sul treno era ironica, vero?!». Invece sono stata catapultata in un brutto film con Roger Moore che pretendeva di concludere la saga che ha ospitato un capolavoro (almeno per il genere spionistico e per il modo in cui ha ribaltato certe premesse dei vecchi James Bond) ricadendo in una mediocrità così pesante che mi è sceso il latte alle ginocchia.
Un giorno tutto questo dolore ci sarà utile? Un giorno scriverò un piccolo trattato sulla mistica di avere come vicino di poltroncina al cinema un altro essere umano. Ventiquattro anni…
Mi è stato chiesto, in questi giorni, visti gli studi che ho fatto e i libri che ho letto, che cosa ne pensassi di quello che sta accadendo fra l’Europa e il Medio Oriente e se potessi suggerire modi alle altre persone di informarsi in maniera più completa sull’argomento, anche solo per farsi un pensiero di massima su una situazione che ci sta gettando tutti, volenti o nolenti, nel panico. Seguirò quattro punti fondamentali , senza la pretesa di dare una lettura completa di quello che sta succedendo ma piuttosto offrire un trampolino di lancio da cui partire per nuotare nel mare magnum di informazioni sparse che è il web e in generale i mass media nel nostro 2015.
L’ho detto per “Inside Out” e lo ripeto anche qui senza tema di sbagliarmi: ci sono determinati film che sono fatti per toccarti l’anima; film che non importa se tu li abbia amati o odiati visceralmente, ti hanno provocato un’emozione fortissima guardandoli, perché restare indifferenti non si poteva; film che sono capolavori per l’efficacia e la profondità con cui esplorano i sentimenti più forti che gli esseri umani possano provare, catartici per il dolore che ti costringono a provare, come le antiche tragedie greche.
Quando vai al cinema a vedere un film di un regista che sai essere bravo o comunque capace di dare un valore aggiunto alle sue storie, hai sempre delle aspettative. Se cadono nel vuoto, l’amarezza raddoppia, perché un film con delle potenzialità come lo era “Crimson Peak” è sempre un’occasione mancata e ti lascia con una serie di domande dentro che non avranno risposta. Si aggiunga che il film presentava un cast di rispetto, a cominciare da Tom Hiddleston, che è stato probabilmente la calamita per molti spettatori incuriositi dalla storia, e non era esattamente girato da un regista di primo pelo, e si capisce perché aveva tutte le carte in regola per stupire.
Allora, da dove cominciare? Devo dire che la cosa più inaspettata del film, più che lo stagista settantenne, è stato il tema principale. A giudicare dal titolo italiano (in inglese c’è un più sobrio “The Intern”) e dai trailer mi aspettavo un film che in modo ironico trattasse del dramma dei pensionati con pochi soldi in tasca, che arrotondano con lavoretti vari ed eventuali, perché il mercato del lavoro oggi è questo.
Penso che la marca più significativa di questa saga fosse – e il secondo film l’ha confermato – il grosso carico di adrenalina che mette addosso allo spettatore. Sia nel primo che nel secondo film quello che Thomas, Minho, Newt, Theresa e gli altri fanno è essenzialmente fuggire, dal mondo intero che pare costruito per congiurare contro di loro e metterli costantemente alla prova. Ero curiosa di capire se il secondo film avrebbe mantenuto il tenore del primo, visto che di motivi per continuare a fuggire i nostri ne avevano eccome.
Chiunque avesse accesso al web Mercoledì e avesse fra gli amici/followers un appassionato di fantascienza o semplicemente nostalgico degli anni Ottanta sarà stato messo al corrente che si trattava di una data storica, uno di quegli eventi che capitano una volta nella storia: il 21 Ottobre 2015 alle quattro del pomeriggio Doc e Marty McFly, i due protagonisti della trilogia di “Ritorno al futuro”, approdavano in quello che all’epoca sembrava un futuro lontanissimo e costellato di chissà quali innovazioni. Per festeggiare l’evento, che è di quelli storici, perché una data del genere capita una volta sola nella storia – a meno che qualcuno non trucchi il calendario, ovviamente – nei cinema si è tenuto un raduno mondiale di fan con proiezione consecutiva dei primi due film della saga.
“Les Revenants” è una serie francese (ci sarebbe anche un remake americano che ha avuto poca fortuna ed è stato cancellato dopo la prima stagione), ambientata in una cittadine francese in mezzo alle Alpi costruita a ridosso di una diga (che le fornisce anche energia elettrica). È un setting azzeccato, perché nonostante il cielo azzurro e le verdi vallate, i luoghi in cui i protagonisti si muovono sono a dir poco inquietanti. C’è qualcosa di angoscioso nel sole splendente che illumina una città dall’aspetto quasi spettrale, dove accadono i più efferati delitti, robe che manco a Caracas.